Sydney, Australia – Una tranquilla celebrazione per l’inizio di Hanukkah si è trasformata in un bagno di sangue. Domenica sera, sulla celebre spiaggia di Bondi Beach, due uomini armati di fucili semiautomatici hanno aperto il fuoco sulla folla riunita per l’evento “Chanukah by the Sea”, causando una strage. Il bilancio, ancora provvisorio, è di almeno 16 vittime e oltre 40 feriti, alcuni dei quali in condizioni critiche. Le autorità australiane hanno immediatamente classificato l’attacco come un “atto terroristico” di matrice antisemita.

La dinamica dell’attacco

L’attacco è avvenuto intorno alle 18:40 ora locale. I due attentatori, successivamente identificati come Sajid Akram, 50 anni, e suo figlio Naveed Akram, 24, si sono posizionati su un ponte pedonale che sovrasta Archer Park, la spianata erbosa a ridosso della spiaggia dove circa duemila persone, tra cui molte famiglie con bambini, si erano radunate per la cerimonia di accensione della prima candela di Hanukkah. Da quella posizione sopraelevata, hanno iniziato a sparare indiscriminatamente sulla folla, scatenando il panico. Testimoni oculari hanno raccontato scene di terrore, con persone che fuggivano in ogni direzione cercando riparo.

Le forze dell’ordine, già presenti in numero ridotto per l’evento, sono intervenute rapidamente. Ne è seguito un conflitto a fuoco al termine del quale Sajid Akram è stato ucciso, mentre il figlio Naveed è stato gravemente ferito e trasportato in ospedale, dove si è successivamente risvegliato dal coma. Le vittime della strage hanno un’età compresa tra i 10 e gli 87 anni, a testimonianza della natura indiscriminata della violenza. Tra loro figurano il rabbino Eli Schlanger, 41 anni e padre di cinque figli, organizzatore dell’evento, e un sopravvissuto all’Olocausto.

La conferma della matrice jihadista

Fin dalle prime ore, la pista del terrorismo è apparsa la più probabile. La conferma ufficiale è arrivata dal primo ministro australiano, Anthony Albanese, che in una conferenza stampa ha dichiarato senza mezzi termini: “Gli uomini armati responsabili della sparatoria di massa erano motivati dall’ideologia dello Stato Islamico”. Questa affermazione è supportata da prove concrete raccolte dagli investigatori.

All’interno del veicolo utilizzato dai due attentatori, la polizia ha rinvenuto due bandiere artigianali dell’ISIS e diversi ordigni esplosivi improvvisati, fortunatamente non attivati. Ulteriori indagini hanno rivelato che padre e figlio avevano giurato fedeltà allo Stato Islamico già nel 2019. In particolare, il giovane Naveed Akram era già stato attenzionato dall’ASIO, l’intelligence interna australiana, circa sei anni fa per presunti legami con una cellula legata all’ISIS a Sydney, ma dopo sei mesi di indagini non era stato ritenuto una minaccia imminente.

Le indagini e i retroscena

Le indagini del Joint Counter Terrorism Team si stanno concentrando sulla preparazione dell’attacco e su eventuali contatti esterni. Un elemento di particolare interesse è un viaggio di quasi un mese che padre e figlio hanno compiuto nelle Filippine, tornando in Australia solo il 28 novembre, poche settimane prima della strage. Le autorità stanno verificando l’ipotesi che i due possano aver ricevuto una sorta di addestramento militare in aree del paese note per la presenza di gruppi estremisti islamici.

Un altro aspetto che ha scatenato un acceso dibattito pubblico e politico in Australia riguarda la detenzione di armi. Nonostante il passato di Naveed Akram, possedeva un regolare porto d’armi. Il padre Sajid, invece, aveva la licenza per detenere ben sei armi, tutte portate sulla scena del crimine. In risposta a questa tragedia, il primo ministro Albanese ha annunciato l’intenzione di inasprire ulteriormente le già rigide leggi australiane sul controllo delle armi.

Atti di eroismo e reazioni della comunità

In una giornata di orrore, sono emersi anche straordinari atti di coraggio. Un video, diventato virale, mostra un fruttivendolo musulmano, Ahmed al-Ahmad, affrontare e disarmare uno degli attentatori, un gesto eroico che ha probabilmente evitato un bilancio ancora più pesante. Il premier Albanese ha definito al-Ahmad “un vero eroe australiano”. Un altro filmato ha rivelato che anche una coppia, Boris e Sofia Gurman, poi tragicamente uccisi, aveva tentato di fermare uno dei killer prima che iniziasse a sparare sulla folla.

La comunità ebraica e l’intera nazione australiana sono sotto shock. Veglie e manifestazioni di solidarietà si sono tenute in tutto il Paese. L’arcivescovo cattolico di Sydney, Anthony Fisher, ha dichiarato: “Qualsiasi attacco contro singoli ebrei è un attacco all’intera comunità ebraica, e qualsiasi attacco contro la comunità ebraica è un affronto al nostro stile di vita di australiani”. L’attentato ha anche innescato una polemica a distanza tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il governo australiano, con Netanyahu che ha accusato l’Australia di aver “gettato benzina sul fuoco dell’antisemitismo” con il recente riconoscimento dello Stato di Palestina, un’accusa respinta da Albanese che ha invitato all’unità nazionale.

Di atlante

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