Un accordo da 405 milioni di euro per porre fine a una complessa vertenza fiscale. È questa la cifra che Lagfin, la holding di diritto lussemburghese appartenente alla famiglia Garavoglia e azionista di controllo del colosso delle bevande Gruppo Campari, verserà all’Agenzia delle Entrate italiana. La transazione chiude un capitolo delicato, sorto da contestazioni relative al mancato pagamento della cosiddetta “exit tax” in seguito a un’operazione di riorganizzazione societaria.
I dettagli dell’accordo transattivo
L’intesa prevede un piano di pagamento dilazionato su un arco temporale di quattro anni. Una prima rata consistente, pari a 152 milioni di euro, dovrà essere versata entro il 31 dicembre 2025. Per far fronte a questo primo esborso, Lagfin ha comunicato che utilizzerà risorse già disponibili e appositamente accantonate. Il saldo rimanente, pari a 253 milioni di euro, sarà corrisposto attraverso rate trimestrali di pari importo a partire da giugno 2027 fino al 30 settembre 2029. In cambio di questo versamento, l’Agenzia delle Entrate abbandonerà completamente la propria pretesa erariale.
Le origini del contenzioso: la contestata “Exit Tax”
La disputa fiscale affonda le sue radici in un’operazione di fusione transfrontaliera avvenuta nel 2018. In quell’occasione, il pacchetto di controllo di Campari era stato trasferito dall’Italia al Lussemburgo attraverso l’incorporazione tra Alicros, la precedente holding di Campari, e Lagfin. Secondo le autorità fiscali italiane, questa operazione avrebbe generato plusvalenze per oltre 5,3 miliardi di euro che avrebbero dovuto essere soggette alla “exit tax”, un’imposta dovuta quando un’impresa trasferisce la propria residenza fiscale all’estero.
La Procura di Monza aveva avviato un’indagine per violazioni fiscali, che aveva portato a un sequestro preventivo di azioni Campari per un valore di circa 1,3 miliardi di euro nel mese di ottobre. La contestazione mossa dalla Guardia di Finanza riguardava proprio il mancato versamento di questa imposta sulle plusvalenze latenti al momento del trasferimento all’estero.
La posizione di Lagfin: una scelta a tutela degli azionisti
Nonostante l’accordo, Lagfin ha ribadito in una nota ufficiale di aver “sempre operato nel pieno rispetto di tutte le normative applicabili, inclusa quella fiscale italiana” e di ritenere che la “exit tax non fosse applicabile” alla specifica operazione. La holding si è detta certa che, in un eventuale contenzioso legale, le sue ragioni avrebbero prevalso.
Tuttavia, la consapevolezza che una battaglia legale si sarebbe protratta per anni attraverso i vari gradi di giudizio ha spinto la società a scegliere la via della transazione. Il timore, si legge nella nota, era che l’incertezza del contenzioso potesse “riverberarsi negativamente anche sul prezzo del titolo Campari”, danneggiando così tutti gli azionisti. La decisione è stata quindi presentata come una misura “a protezione di tutti gli azionisti di Campari”, per preservare l’interesse di coloro che hanno investito e investiranno nel gruppo, tenendoli indenni da vicende che non riguardano direttamente l’operatività di Campari.
Le implicazioni dell’accordo
Con la firma dell’accordo, Lagfin otterrà il dissequestro delle azioni Campari, riacquistandone la piena disponibilità. Questa transazione rappresenta un esempio significativo di come le grandi holding internazionali affrontino le complesse normative fiscali transfrontaliere. La scelta di un accordo, pur sostenendo la correttezza del proprio operato, evidenzia una strategia pragmatica volta a minimizzare i rischi e le incertezze di lunghi procedimenti legali, che possono avere ripercussioni negative sui mercati finanziari e sul valore delle società controllate.
