C’è una storia, nel cuore del Monferrato astigiano, che profuma di rose, spezie e tenacia. È la storia di un vitigno quasi dimenticato, il Ruché, e degli uomini che hanno creduto nel suo potenziale quando sembrava destinato a scomparire. Una vicenda che intreccia la fede di un parroco di campagna e la visione di un giovane imprenditore, trasformando una piccola produzione locale in un fenomeno enologico apprezzato in tutto il mondo. Oggi, il Ruché di Castagnole Monferrato DOCG non è solo un vino, ma il simbolo di una rinascita economica e culturale per il suo territorio.

Il Parroco che salvò il Ruché dall’estinzione

Tutto ha inizio negli anni Sessanta a Castagnole Monferrato. Il protagonista è Don Giacomo Cauda, parroco del paese, che arrivato nel 1964 trovò in “dote” alla parrocchia alcuni filari di un’uva locale, allora considerata rustica e poco pregiata. Di estrazione contadina, Don Cauda non poteva accettare di vedere quelle vigne in stato di abbandono. Con un’intuizione che si rivelerà storica, decise non solo di recuperarle, ma di vinificare per la prima volta il Ruché in purezza, credendo fermamente nelle sue potenzialità. Quella vigna, situata vicino alla chiesa, divenne nota come la “Vigna del Parroco”. Il vino che ne scaturì, inizialmente conosciuto come “Ruchè del Parroco”, divenne il primo passo verso il riconoscimento ufficiale che arriverà decenni dopo. Don Cauda, una figura quasi leggendaria, amava dire con umiltà: “Che Dio mi perdoni per aver a volte trascurato il mio ministero per dedicarmi anima e corpo alla vigna. Ma so che Dio mi ha perdonato perché con i soldi guadagnati dal vino ho creato l’oratorio e ristrutturato la canonica”.

Luca Ferraris: la scommessa di un giovane imprenditore

La seconda parte di questa storia inizia nel 2001. Luca Ferraris, un giovane perito agrario di Torino con radici familiari a Castagnole Monferrato, decide di abbandonare la città per tornare alla terra dei suoi bisnonni. Una scelta controcorrente, animata da una passione profonda per quel vitigno così particolare. La sua avventura parte da un piccolo appezzamento di famiglia: “mille metri, era l’orto di papà, si sarebbero fatte 800 bottiglie”, racconta Ferraris. Da quel fazzoletto di terra, inizia un percorso di crescita inarrestabile. Acquista altri terreni e in soli tre anni passa da una produzione di 10.000 a 60.000 bottiglie.

Ferraris non si limita a produrre: diventa l’ambasciatore del Ruché nel mondo. Fonda l’Associazione Produttori del Ruché di Castagnole Monferrato per creare un’identità collettiva e viaggia instancabilmente per far conoscere questo rosso secco, corposo e dal bouquet inconfondibile, con note di rosa, viola, ciliegia selvatica e spezie. La svolta internazionale arriva con l’esportazione negli Stati Uniti, grazie all’incontro con Randall Grahm di Bonny Doon Vineyard, che apre le porte a un mercato cruciale.

Un successo globale con radici nel Monferrato

Oggi, la Ferraris Agricola è un’azienda solida che testimonia il successo di quella scommessa. Con dodici dipendenti a tempo indeterminato, produce 300.000 bottiglie l’anno, esportate in 35 Paesi, generando un fatturato che si attesta intorno a 1,6 milioni di euro. La cantina storica dei bisnonni è stata trasformata in un museo, a testimonianza del legame indissolubile con la storia del territorio.

Nel 2016, Luca Ferraris ha raccolto il testimone più prezioso: la gestione della “Vigna del Parroco”, le cui viti piantate nel 1964 sono le più antiche esistenti. Questo vigneto non è solo un pezzo di storia, ma anche l’unico Cru ufficialmente riconosciuto dal Ministero dell’Agricoltura all’interno della denominazione Ruché di Castagnole Monferrato DOCG. La DOCG, ottenuta nel 2010, copre un’area ristretta di sette comuni ed è gestita dal Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato.

Sostenibilità e sfide future: uno sguardo all’orizzonte

Il successo di Ferraris non si basa solo sui numeri, ma anche su una filosofia aziendale moderna. L’azienda ha ottenuto la certificazione Qualitas, uno standard che valuta la sostenibilità non solo ambientale, ma anche sociale ed economico-finanziaria. Questo si traduce in welfare per i dipendenti, investimenti sul territorio (come il Museo del Ruché) e pratiche agricole rispettose dell’ambiente, come l’installazione di un tetto agri-solare che rende l’azienda energeticamente indipendente.

Tuttavia, il futuro presenta nuove sfide. Ferraris guarda con preoccupazione non tanto ai dazi, quanto all’inflazione del dollaro, cruciale per un’azienda fortemente orientata all’export. Altre incognite provengono dai cambiamenti dei mercati, come le campagne contro il consumo di alcol nel Nord Europa, e dalla frammentazione strutturale dell’agricoltura italiana. “In Italia la media è di 2,4 ettari per azienda vinicola. In Francia è di 12,8 ettari”, sottolinea l’imprenditore, evidenziando una debolezza sistemica che può limitare la competitività. Nonostante le difficoltà del contesto internazionale, il settore del vino italiano si mostra resiliente, con un export che continua a crescere spinto soprattutto dagli spumanti, ma che richiede una continua diversificazione dei mercati per mitigare i rischi.

La storia del Ruché di Castagnole Monferrato è dunque una parabola esemplare: un patrimonio di biodiversità salvato dalla passione, trasformato in eccellenza imprenditoriale e proiettato nel futuro grazie a una visione che unisce qualità, sostenibilità e un profondo rispetto per le proprie radici.

Di atlante

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