TORINO – La Val di Susa si è nuovamente infiammata, non solo per il freddo pungente di dicembre, ma per il calore di una lotta che dura da oltre due decenni. L’8 dicembre ha segnato il ventesimo anniversario di una data simbolo per il movimento No Tav: la riconquista dei terreni di Venaus dopo il violento sgombero del presidio avvenuto nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2005. Quella che fu una marcia di trentamila persone sotto una fitta nevicata, oggi ha visto circa duemila manifestanti percorrere la stessa strada, ma in senso inverso, da Venaus alla frazione San Giuliano di Susa, sotto un sole invernale che illuminava i volti di diverse generazioni unite dalla stessa causa.

Una Memoria Viva che Attraversa le Generazioni

“L’8 dicembre non è una data qualsiasi. È l’appuntamento che, da vent’anni, unisce la memoria viva e la determinazione di un movimento popolare che non ha mai arretrato di un passo”, hanno dichiarato gli attivisti, sottolineando come l’eredità di quella giornata del 2005 continui a essere una forza motrice. Vent’anni fa, la reazione allo sgombero notturno fu immediata e potente: un corteo imponente si mosse da Susa per “riprendersi” quel prato in Val Cenischia, simbolo della resistenza contro l’apertura dei cantieri per la linea ad alta velocità Torino-Lione. Quell’evento segnò un punto di svolta, portando la lotta della Val di Susa al centro del dibattito nazionale e aggregando studenti, lavoratori e cittadini da tutta Italia. Oggi, la marcia ha visto la partecipazione di volti storici del movimento, amministratori locali, ma soprattutto tanti giovani, a testimonianza di una lotta che si tramanda e si rinnova. Lo striscione di apertura del corteo, “Avere 20 anni e avere sogni grandi. Vent’anni di lotte, amore e resistenza”, racchiude perfettamente questo spirito.

Un Clima di Tensione: Scontri ai Cantieri e Feriti

Tuttavia, l’anniversario non è stato solo commemorazione. Le giornate precedenti la marcia sono state caratterizzate da un’escalation di tensione. Nelle serate del 6 e 7 dicembre, i cantieri di San Didero e Chiomonte, da tempo epicentri della protesta, sono stati teatro di violenti scontri. Gruppi di manifestanti, descritti come un centinaio di persone incappucciate, hanno assaltato le recinzioni dei cantieri, lanciando bombe carta, pietre, bulloni e fuochi d’artificio contro le forze dell’ordine schierate a difesa delle aree. La risposta della polizia non si è fatta attendere, con l’uso di lacrimogeni e idranti per disperdere i manifestanti. Il bilancio degli scontri riporta il ferimento di un funzionario della Digos di Torino, colpito al volto. I sindacati di polizia Fsp e Sap hanno denunciato la violenza degli attacchi, parlando di “criminali che vogliono uccidere il poliziotto perché rappresenta lo Stato”.

Le autorità hanno aperto un’inchiesta per identificare i responsabili degli assalti, analizzando le immagini delle telecamere di sorveglianza. Per garantire la sicurezza, è stata anche disposta la chiusura temporanea di un tratto dell’autostrada A32 Torino-Bardonecchia.

Le Reazioni del Mondo Politico

L’eco delle violenze ha raggiunto immediatamente il mondo politico, riaccendendo un dibattito mai sopito. Esponenti della maggioranza di governo hanno condannato fermamente gli accaduti. La senatrice Paola Ambrogio (Fratelli d’Italia) ha chiesto “tolleranza zero sulla violenza eversiva di Askatasuna”, puntando il dito contro il noto centro sociale torinese, spesso associato all’ala più radicale del movimento. Anche la deputata di Azione, Daniela Ruffino, ha parlato di “violenze che hanno solo ritardato i lavori”. Osvaldo Napoli, della segreteria nazionale dello stesso partito, pur condannando le violenze, ha espresso perplessità per la partecipazione di alcuni sindaci e rappresentanti politici, come Paolo Ferrero del PRC, alla manifestazione, considerata un gesto ambiguo alla luce degli scontri.

Il Nuovo Presidio di San Giuliano: Un Simbolo di Resistenza Continua

La marcia di quest’anno ha avuto una meta dal forte valore simbolico: la frazione di San Giuliano a Susa. Qui, il movimento ha inaugurato un nuovo presidio permanente, all’interno di un’abitazione espropriata da TELT (Tunnel Euralpin Lyon Turin) per far posto al futuro cantiere. La casa, appartenuta per 66 anni alla famiglia Zuccotti, è diventata il nuovo simbolo della resistenza contro un’opera che, secondo gli attivisti, “trasforma la nostra terra in un cantiere unico e permanente” e tratta gli abitanti come “pedine sacrificabili”. La scelta di concludere il corteo in questo luogo non è casuale, ma rappresenta la volontà di trasformare un atto di esproprio in un nuovo punto di incontro, socialità e lotta.

La giornata dell’8 dicembre, a vent’anni di distanza, si conferma così un evento complesso: un ponte tra la memoria di una battaglia popolare che ha segnato la storia della Val di Susa e un presente ancora carico di tensioni, dove la difesa del territorio si scontra con l’avanzamento di una grande opera contestata. Una memoria che, come dimostra la partecipazione di tante nuove generazioni, non è solo rievocazione, ma un’eredità viva che continua a ispirare la lotta.

Di veritas

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