Un vero e proprio terremoto politico ha scosso la Bolivia. L’ex presidente Luis Alberto Arce Catacora è stato arrestato nel pomeriggio di mercoledì a La Paz, in un’operazione a sorpresa condotta dalle forze dell’ordine. L’arresto si inserisce nel quadro di una delle inchieste per corruzione più delicate e complesse della storia recente boliviana: il caso del cosiddetto “Fondo de Desarrollo para los Pueblos Indígenas Originarios y Comunidades Campesinas” (Fondioc), meglio noto come Fondo Indigeno.
Secondo le prime ricostruzioni, Arce è stato fermato nel quartiere Sopocachi della capitale e trasferito nelle celle della Forza Speciale di Lotta contro il Crimine (Felcc). L’accusa principale che pende sul suo capo è quella di aver partecipato a un meccanismo di distrazione di ingenti somme di denaro pubblico, originariamente destinate a finanziare progetti di sviluppo per le comunità indigene e contadine del paese. I fatti contestati risalgono al periodo in cui Arce ricopriva la carica di Ministro dell’Economia durante la presidenza di Evo Morales.
Il caso del Fondo Indigeno: una ferita aperta
Il Fondo Indigeno, istituito durante il governo di Evo Morales, era stato concepito come uno strumento per promuovere l’autonomia e lo sviluppo delle popolazioni native attraverso il finanziamento diretto di progetti sociali e produttivi. Tuttavia, nel corso degli anni, sono emerse pesanti accuse di irregolarità. Un’indagine della Contraloría General del Estado (la Corte dei Conti boliviana) ha svelato l’esistenza di centinaia di “progetti fantasma”: iniziative mai realizzate a fronte di milioni di dollari erogati.
Lo scandalo, esploso mediaticamente già diversi anni fa, ha portato all’incriminazione di numerose figure, tra cui ex ministri e dirigenti di organizzazioni sociali vicine al Movimento al Socialismo (MAS), il partito di Arce e Morales. Tra i nomi più noti finiti nell’inchiesta figura l’ex ministra dello Sviluppo Rurale, Nemesia Achacollo. La vicenda ha avuto anche dei risvolti tragici, come la morte in carcere di Marco Antonio Aramayo, ex direttore del Fondo e uno dei principali denuncianti, che si è sempre dichiarato un capro espiatorio del sistema.
La reazione politica: “Un arresto arbitrario”
L’arresto di Arce ha immediatamente infiammato il clima politico boliviano. L’ex ministra della Presidenza, María Nela Prada, ha definito la detenzione “arbitraria” e un “sequestro totalmente illegale”, denunciando che sarebbe avvenuta senza un regolare mandato d’arresto. Prada ha lanciato un appello alla comunità internazionale affinché monitori la situazione, paventando una violazione dei diritti e delle garanzie processuali per l’ex capo di Stato.
Dalle file del MAS, il partito di Arce, si levano voci che parlano di una “persecuzione politica” orchestrata dall’attuale governo conservatore di Rodrigo Paz, che ha posto fine a quasi due decenni di dominio socialista. Secondo alcuni esponenti del partito, il vero obiettivo di questa offensiva giudiziaria non sarebbe tanto Arce, quanto il leader storico del socialismo boliviano, Evo Morales, nel tentativo di “demonizzare e stigmatizzare” la sua figura in vista di future contese elettorali.
Il contesto: una Bolivia polarizzata
L’arresto si colloca in un momento di forte polarizzazione e instabilità per la Bolivia. Il paese è reduce da una profonda crisi politica ed economica e da uno scontro interno allo stesso MAS, che ha visto contrapporsi le fazioni fedeli ad Arce e quelle vicine a Evo Morales. La fine dell’era socialista e l’ascesa di una nuova forza politica di centro-destra hanno ridisegnato gli equilibri di potere, ma non hanno sanato le fratture della società.
Ora, l’autorità giudiziaria dovrà definire i prossimi passi. La Procura dovrà formalizzare le accuse e decidere se richiedere la detenzione preventiva per l’ex presidente. Il caso promette di avere profonde ripercussioni non solo sul piano legale, ma anche su quello politico, rischiando di esacerbare ulteriormente le tensioni in un paese che cerca con fatica una via per la stabilità.
