Un’icona del cinema mondiale, un maestro dell’ironia e dell’introspezione psicologica, ha recentemente varcato la soglia dei novant’anni. Woody Allen, nato Allan Stewart Königsberg il 30 novembre 1925, ha scelto il salotto televisivo di “Cinque Minuti” di Bruno Vespa, in onda su Rai1, per una rara e preziosa conversazione, in occasione dell’uscita in Italia del suo primo romanzo, “Che succede a Baum?”, edito da La Nave di Teseo. Un dialogo che ha toccato le corde più profonde della sua arte e della sua esistenza, svelando un uomo alle prese con il tempo che passa, ma con una lucidità e un acume immutati.

Il difficile addio al grande schermo

Una delle rivelazioni più toccanti dell’intervista riguarda il suo rapporto con la recitazione. “Tornare allo schermo? È difficile, a causa dell’età”, ha confessato Allen. Con la sua consueta onestà, ha spiegato la carenza di ruoli significativi per attori della sua generazione, rifiutando l’idea di partecipare a “uno di quei film con i vecchietti e il pubblico che viene solo per vedere che sei ancora vivo”. Tuttavia, la passione per la recitazione non è sopita: “Ma se arrivasse una parte interessante per un uomo della mia età lo farei, perché a me piace recitare”. Una porta non del tutto chiusa, quindi, ma legata alla ricerca di un progetto che possa ancora stimolare la sua sensibilità d’artista.

Questa difficoltà si estende anche a un’eventuale trasposizione cinematografica del suo romanzo. Alla domanda di Vespa sulla possibilità di vedere “Che succede a Baum?” sul grande schermo, Allen ha risposto che l’idea potrebbe concretizzarsi solo a una condizione: poter interpretare lui stesso il protagonista. “È il ruolo perfetto per me, saprei esattamente cosa fare, perché l’ho scritto io. Ma sono troppo vecchio, dovrei essere più giovane, avere una cinquantina d’anni”, ha ammesso con una punta di rammarico. Un paradosso che evidenzia il divario tra la mente creativa, ancora fervida, e i limiti imposti dal corpo.

“Che succede a Baum?”: un esordio letterario a 90 anni

Il fulcro dell’ospitata televisiva è stata la presentazione del suo primo vero romanzo, “Che succede a Baum?”. Pubblicato in contemporanea mondiale, il libro introduce i lettori ad Asher Baum, un intellettuale ebreo newyorkese di mezza età, nevrotico e pieno di ansie, in cui è facile scorgere un alter ego dello stesso Allen. Baum, un giornalista passato a scrivere romanzi filosofici poco apprezzati, si trova a navigare in una vita privata e professionale disastrosa. Il suo matrimonio è in crisi, la moglie è sospettata di tradimento e un lapsus durante un’intervista con una giovane giornalista minaccia di trasformarsi in uno scandalo pubblico. Il romanzo è un concentrato dell’umorismo e dell’introspezione tipici del regista, un flusso di coscienza che mescola farsa e dramma, esplorando con ironia le angosce esistenziali della vita moderna.

Riflessioni sulla vita: ironia, disperazione e mediocrità

L’intervista ha offerto anche spunti di profonda riflessione filosofica. Interrogato sul ruolo dell’ironia come arma contro la disperazione, Allen ha offerto una visione disincantata: “È un’arma, ma abbastanza debole, non c’è una vera e propria arma in grado di sconfiggere la disperazione”. Paragonando la vita a una scommessa al casinò, ha sottolineato come, nonostante momenti di fortuna, la sconfitta finale sia inevitabile. L’ironia, in questo contesto, è solo un sollievo temporaneo.

Con sorprendente umiltà, il regista, vincitore di quattro premi Oscar e autore di capolavori che hanno segnato la storia del cinema come “Io e Annie” e “Manhattan”, ha parlato della sua “mediocrità”. “So di non essere Charlie Chaplin, Stravinskij o un talento straordinario. Io ho un certo senso dell’umorismo e un talento per divertire la gente. Avrei voluto avere un grandissimo talento, ma questo tocca a pochissime persone e io non sono tra queste”. Una dichiarazione che rivela la costante ricerca e l’insoddisfazione che spesso accompagnano i grandi artisti.

Uno sguardo sulla giustizia e sull’amore

Non sono mancati accenni all’attualità e alla sfera personale. Allen ha espresso una forte critica verso il sistema mediatico e giudiziario contemporaneo: “Quando leggo i giornali, vedo sempre persone accusate di cose, si vedono rovinare la reputazione, la carriera, pur non essendo condannate e senza andare a processo. C’è solo l’accusa a colpirli e questo è molto ingiusto per molti”. Una riflessione amara sulla gogna mediatica e sulla presunzione di colpevolezza.

Infine, un pensiero sull’amore e sulla famiglia, descritto come un porto sicuro nella tempesta dell’esistenza. “Sono fortunatissimo”, ha dichiarato, ricordando le donne importanti della sua vita e celebrando il suo matrimonio trentennale con Soon-yi Previn. “Ho una moglie meravigliosa, da trent’anni ormai, ho una famiglia bellissima, non ho nulla di cui lamentarmi. Ringrazio per la fortuna che ho avuto”. Una conclusione che suona come un bilancio sereno, un’ode alla stabilità degli affetti in una vita dedicata all’incessante esplorazione delle nevrosi e delle contraddizioni dell’animo umano.

Di euterpe

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