Bruxelles – Un nuovo fronte si apre nella complessa relazione tra i giganti della Silicon Valley e le autorità di regolamentazione europee. La Commissione Europea ha ufficialmente avviato un’indagine antitrust formale nei confronti di Meta Platforms. L’oggetto del contendere è l’integrazione di Meta AI, l’assistente virtuale basato su intelligenza artificiale generativa, all’interno di WhatsApp, l’applicazione di messaggistica istantanea più diffusa al mondo. L’indagine, come riportato inizialmente dal Financial Times e poi confermato da diverse fonti, mira a stabilire se il colosso guidato da Mark Zuckerberg stia abusando della sua posizione dominante per soffocare la concorrenza nel nascente mercato degli assistenti AI.

Cos’è Meta AI e come si integra in WhatsApp?

Meta AI è la risposta del gigante di Menlo Park a strumenti come ChatGPT di OpenAI e Gemini di Google. Basato sul suo modello linguistico avanzato (LLM) LLaMA, l’assistente è progettato per conversare con gli utenti, rispondere a domande, generare testi e immagini, e fornire assistenza contestuale. La sua integrazione all’interno dell’ecosistema Meta è strategica: è presente su Facebook, Instagram e, appunto, WhatsApp. All’interno di quest’ultima, Meta AI si manifesta come un’icona circolare blu, pronta a essere interpellata sia in chat dirette che in conversazioni di gruppo, dove può essere “taggata” con il comando “@Meta AI”. Questa presenza costante e nativa è il fulcro delle preoccupazioni europee.

Le radici del sospetto: abuso di posizione dominante e “vendita abbinata”

Il cuore dell’indagine della Commissione risiede nel sospetto di un comportamento anticoncorrenziale, riconducibile principalmente a due concetti chiave: l’abuso di posizione dominante e la vendita abbinata (tying). L’ipotesi è che Meta stia sfruttando l’immensa base di utenti di WhatsApp – oltre due miliardi a livello globale – per imporre il proprio assistente AI, creando un vantaggio incolmabile per qualsiasi concorrente.

Le preoccupazioni di Bruxelles si concentrano su una nuova policy di Meta che, secondo le prime analisi, vieterebbe ai fornitori terzi di intelligenza artificiale di utilizzare le soluzioni “WhatsApp Business” se l’AI è il loro servizio primario. Questo, di fatto, chiuderebbe la porta a startup e aziende europee che sviluppano chatbot e assistenti virtuali, impedendo loro di offrire i propri servizi sulla piattaforma di messaggistica dominante. La Commissione teme che questa mossa non sia dettata da ragioni tecniche, come sostiene Meta, ma da una precisa strategia per eliminare la concorrenza e assicurarsi il monopolio anche in questo settore strategico.

L’indagine verrà condotta secondo le tradizionali regole antitrust (Articolo 102 del TFUE) e non, almeno per ora, sotto l’egida del più recente Digital Markets Act (DMA), sebbene i principi di equità del mercato digitale siano chiaramente al centro della disputa. È interessante notare che l’autorità garante della concorrenza italiana (AGCM) si era già mossa in autonomia sulla stessa questione, escludendo di fatto l’Italia dal perimetro di questa specifica indagine europea.

Un copione già visto: i precedenti di Meta con l’UE

La mossa della Commissione non giunge in un vuoto normativo. Meta è da tempo sotto la lente dell’antitrust europeo e ha già subito sanzioni significative. Recentemente, la società è stata multata per centinaia di milioni di euro per violazioni legate al DMA, in particolare per il suo modello “consenso o pagamento” che non offriva agli utenti una scelta sufficientemente libera sulla gestione dei propri dati personali per fini pubblicitari. In passato, un’altra maxi-multa da quasi 800 milioni di euro ha sanzionato Meta per aver collegato in modo indebito il suo servizio Facebook Marketplace al social network Facebook, un caso di “tying” che presenta forti analogie con la situazione attuale di WhatsApp e Meta AI.

Questi precedenti dimostrano la determinazione di Bruxelles nel far rispettare le regole di concorrenza, impedendo ai cosiddetti “gatekeeper” digitali di sfruttare la loro enorme influenza su un mercato per ottenere un vantaggio sleale in un altro.

L’impatto sullo stile di vita digitale e le sfide future

Al di là delle complesse questioni legali, l’integrazione pervasiva dell’intelligenza artificiale nelle nostre piattaforme di comunicazione quotidiana solleva interrogativi profondi sul nostro stile di vita digitale. Da un lato, la promessa è quella di un’efficienza senza precedenti: ottenere informazioni, riassumere lunghe chat di gruppo o persino generare idee creative senza mai lasciare l’applicazione che usiamo per parlare con amici e familiari. Si tratta di un’evoluzione che plasma le nostre abitudini e ridefinisce il concetto di immediatezza.

Dall’altro lato, emergono preoccupazioni legate alla privacy e alla qualità dei dati. Meta assicura che le conversazioni personali restano crittografate end-to-end e che l’AI può leggere solo i messaggi in cui viene esplicitamente menzionata. Tuttavia, la quantità di dati conversazionali a cui un modello AI può potenzialmente attingere per allenarsi e migliorarsi è immensa, e rappresenta un asset strategico di valore incalcolabile. La Commissione dovrà valutare se questa “rendita sul dato conversazionale” non costituisca di per sé una barriera insormontabile per i concorrenti. L’esito di questa indagine non definirà solo il futuro di Meta in Europa, ma traccerà una linea fondamentale per il rapporto tra innovazione tecnologica, concorrenza leale e diritti dei cittadini nell’era dell’intelligenza artificiale.

Di davinci

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