Il grande schermo si prepara ad accogliere un’opera di rara intensità emotiva e visiva: “L’Ombra del Corvo” (titolo originale: “The Thing with Feathers”), il dramma psicologico con venature horror diretto da Dylan Southern, in uscita nelle sale cinematografiche italiane il prossimo 11 dicembre, distribuito da Adler Entertainment. Il film, che ha già catturato l’attenzione di critica e pubblico al Sundance Film Festival e alla Berlinale, dove è stato presentato fuori concorso, promette un viaggio viscerale nel caos del lutto, guidato da una straordinaria interpretazione di Benedict Cumberbatch.

Dal romanzo al grande schermo: un viaggio nella psiche umana

La pellicola è l’adattamento cinematografico de “Il dolore è una cosa con le piume”, il romanzo d’esordio dello scrittore britannico Max Porter, pubblicato in Italia da Guanda. Un libro che, sin dalla sua uscita nel 2015, è stato acclamato come un capolavoro per la sua capacità di mescolare prosa, poesia e teatro nell’affrontare il tema universale della perdita con delicatezza e realismo. L’opera di Porter, che gli è valsa il prestigioso Premio Dylan Thomas, ha già conosciuto una trasposizione teatrale di successo, un monologo adattato da Enda Walsh e interpretato da Cillian Murphy. Oggi, grazie alla visione del regista Dylan Southern, al suo esordio in un lungometraggio di finzione dopo una carriera dedicata a documentari musicali di successo, questa storia potente e commovente trova una nuova, audace forma espressiva.

La trama si concentra su un uomo, di cui non conosciamo il nome, un talentuoso scrittore e disegnatore di graphic novel (interpretato da Cumberbatch), e i suoi due giovani figli (gli esordienti Henry e Richard Boxall). La loro vita viene sconvolta dall’improvvisa e devastante morte della moglie e madre. L’uomo si ritrova solo, a dover navigare le acque tempestose del proprio dolore mentre cerca di tenere insieme i pezzi della sua famiglia e di essere un punto di riferimento per i bambini. È in questo scenario di fragilità e disperazione che si materializza una presenza tanto inaspettata quanto inquietante: un Corvo. Non un uccello comune, ma una creatura imponente, parlante e molesta, che sembra essere uscita direttamente dalle pagine delle storie del protagonista. Questo Corvo, reso tangibile grazie al lavoro fisico dell’attore Eric Lampaert e alla voce profonda di David Thewlis, diventa l’incarnazione fisica delle paure, delle inadeguatezze e dei sensi di colpa che tormentano l’uomo.

Un’interpretazione “viscerale” per un dolore universale

Benedict Cumberbatch, che figura anche tra i produttori con la sua SunnyMarch, offre quella che viene descritta come una delle sue interpretazioni più intense e vulnerabili. Presentando il film al Sundance, l’attore ha sottolineato come la forza della storia risieda nel suo essere “così viscerale, ma anche molto reale“. “Penso che chiunque abbia vissuto un lutto, anche se non è padre o marito, possa capire quel tipo di emozioni ad ampio spettro, quel dolore bruciante e la sua peculiarità“, ha spiegato Cumberbatch. “Senti un senso di dissociazione, qualcosa che cogli intorno a te ti sembra all’improvviso surreale e inquietante quando vivi quell’assenza. Noi qui esploriamo tutto questo in forma cinematografica utilizzando anche elementi horror e di mistero“.

L’elemento horror, infatti, non è fine a se stesso, ma funge da catalizzatore per immergere lo spettatore nel paesaggio interiore del protagonista. Il regista Dylan Southern sceglie di rappresentare il caos emotivo attraverso una regia che alterna realismo e visione, luci livide e interni claustrofobici, quasi a trasformare la casa in una gabbia della mente. Il Corvo, con le sue piume unte e la sua presenza minacciosa, non è solo un antagonista, ma una guida ambigua, un terapeuta feroce che costringe la famiglia a confrontarsi con l’indicibile per poter, infine, ricomporre il proprio mondo.

Un’estetica audace per una storia indimenticabile

La produzione, supportata da enti come Film4 e il British Film Institute (BFI), ha puntato su un approccio che rifiuta la digitalizzazione eccessiva per privilegiare la presenza fisica e la matericità della scena. Questa scelta contribuisce a restituire una verità emotiva potente al racconto, rendendo l’esperienza cinematografica ancora più immersiva. Lo stesso Max Porter ha seguito da vicino il processo creativo dell’adattamento, comparendo anche in un piccolo cameo, a testimonianza della fedeltà allo spirito poetico e sperimentale dell’opera letteraria.

“L’Ombra del Corvo” si preannuncia quindi non solo come un film sul dolore, ma come una potente riflessione sulla forza dell’immaginazione, sulla resilienza dell’infanzia e sulla capacità dell’amore di trasformarsi in una forma di rinascita. Un’opera visivamente audace e profondamente umana, destinata a lasciare un segno indelebile nel cuore e nella mente degli spettatori.

Di davinci

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