LIVERPOOL – Una luce solitaria fende il buio della notte al 251 di Menlove Avenue. Non è una dimenticanza, ma un faro nella memoria, un tributo silenzioso e potente. A 45 anni esatti da quella fredda notte newyorkese che spense una delle voci più influenti del XX secolo, Liverpool ricorda John Lennon. E lo fa con un gesto intimo e universale: lasciando accesa per tutta la notte la luce della sua camera da letto d’infanzia, in quella casa conosciuta come “Mendips”, oggi un tempio laico per milioni di fan.
L’8 dicembre 1980, il mondo si fermò. John Lennon, a soli 40 anni, veniva brutalmente assassinato da Mark David Chapman davanti al Dakota Building, la sua residenza a New York. Un’ondata di dolore e incredulità attraversò il pianeta, lasciando un vuoto incolmabile nella musica e nella cultura. Oggi, a quasi mezzo secolo di distanza, quel dolore si è trasformato in un ricordo vivo, celebrato non solo a New York, presso lo Strawberry Fields Memorial a Central Park, ma soprattutto qui, a Liverpool, dove tutto ebbe inizio.
“Mendips”: la culla dei Beatles
La villetta a schiera in mattoni rossi nel sobborgo di Woolton non è una semplice abitazione. È il luogo dove un giovane John, cresciuto dalla severa ma amorevole zia Mimi Smith, ha sognato, letto, disegnato e, soprattutto, scritto la storia. Tra il 1946 e il 1963, quelle stanze hanno visto nascere l’embrione dei Beatles. Qui, spesso in compagnia di un altro ragazzo di Liverpool di nome Paul McCartney, che viveva a poco più di un chilometro di distanza, sono state composte alcune delle prime, immortali canzoni del gruppo. Contrariamente a quanto si credette per anni, a “Mendips” videro la luce brani come “Please Please Me” e “I’ll Get You”, prove generali di una rivoluzione musicale imminente.
La casa, acquistata nel 2002 dalla vedova di Lennon, Yoko Ono, e donata al National Trust, è stata meticolosamente restaurata per riportarla all’aspetto che aveva negli anni ’50. Visitare oggi “Mendips” significa compiere un viaggio nel tempo: entrare nella piccola cucina, vedere il salotto dove la zia Mimi ascoltava la radio e, infine, salire nella sua camera da letto, il suo rifugio, con le pareti che un tempo ospitavano i poster dei suoi idoli, come Elvis Presley. Un luogo carico di energia creativa, che il National Trust preserva con cura, offrendo tour guidati che permettono di respirare l’atmosfera di quegli anni formativi.
L’omicidio che fermò la musica
La sera dell’8 dicembre 1980, Lennon stava rientrando a casa con Yoko Ono dopo una sessione di registrazione. Ad attenderlo c’era Mark Chapman, un venticinquenne squilibrato che poche ore prima si era fatto autografare una copia dell’album “Double Fantasy”. Chapman esplose cinque colpi di pistola, quattro dei quali colpirono mortalmente l’ex Beatle alla schiena. La corsa al Roosevelt Hospital fu vana; Lennon fu dichiarato morto poco dopo il suo arrivo.
Le motivazioni di Chapman affondavano in un miscuglio tossico di ammirazione morbosa, risentimento e delirio psicotico. Ossessionato dal romanzo “Il giovane Holden” di J.D. Salinger, vedeva in Lennon un “impostore” (“phony”), un uomo che cantava “Imagine no possessions” vivendo nel lusso. Una percezione distorta che lo portò a pianificare l’omicidio per mesi. Condannato a una pena da 20 anni all’ergastolo, Chapman si è visto negare la libertà condizionale per ben dodici volte e rimane tuttora in carcere.
Un’eredità immortale
La morte di John Lennon non ha spento la sua voce. Anzi, ne ha amplificato il messaggio, trasformandolo in un’icona globale di pace e attivismo. Le sue canzoni, sia con i Beatles che da solista, continuano a ispirare generazioni, veicolando ideali di amore, speranza e cambiamento sociale. Da “Give Peace a Chance” a “Imagine”, la sua musica è diventata la colonna sonora di movimenti pacifisti in tutto il mondo.
La commemorazione a Liverpool, con quel fascio di luce che illumina la sua stanza, è più di un semplice omaggio. È un promemoria potente: anche se la vita di un uomo può essere spenta, le sue idee, la sua arte e la sua luce interiore possono continuare a brillare per sempre. Un messaggio che, a 45 anni di distanza, risuona più attuale e necessario che mai.
