Roma – Un traguardo anagrafico che per molti segna il ritiro a vita privata, per Woody Allen diventa l’occasione per una nuova prima volta. A 90 anni, compiuti lo scorso 30 novembre, il leggendario regista, sceneggiatore e attore newyorkese si reinventa romanziere e si racconta in una rara intervista televisiva a Bruno Vespa, nel salotto di “Cinque Minuti” su Rai1. Un dialogo denso, che spazia dal futuro della sua carriera attoriale all’analisi lucida e disincantata dei grandi temi della sua poetica: l’ironia come arma spuntata contro la disperazione, la consapevolezza della propria “mediocrità” artistica e una difesa accorata contro le ingiustizie delle accuse mediatiche.

Addio al grande schermo? “Sono troppo vecchio”

Una delle rivelazioni più amare per i suoi innumerevoli ammiratori riguarda il suo rapporto con la recitazione. Allen non usa mezzi termini: “Tornare allo schermo? È difficile, a causa dell’età”. Con l’onestà intellettuale che lo contraddistingue, spiega come i ruoli per un uomo della sua età scarseggino e come rifugga l’idea di partecipare a “uno di quei film con i vecchietti e il pubblico che viene solo per vedere che sei ancora vivo”. L’unica possibilità, ammette, sarebbe legata a un’offerta irrinunciabile, un ruolo eccezionale che possa giustificare un ritorno sulle scene. “Ma se arrivasse una parte interessante per un uomo della mia età lo farei, perché a me piace recitare”, confessa, lasciando uno spiraglio aperto alla speranza dei fan.

“Che succede a Baum?”: un alter ego letterario

Il motivo principale della sua ospitata televisiva è il lancio del suo primo romanzo, “Che succede a Baum?”, edito in Italia da La Nave di Teseo. Il libro, che ha debuttato in libreria a fine settembre in contemporanea mondiale, introduce un personaggio che sembra uscito direttamente da una delle sue pellicole: Asher Baum, un intellettuale ebreo newyorkese di mezza età, romanziere in crisi creativa e sentimentale. Un uomo assediato da nevrosi, gelosie e dal timore del fallimento, che inizia a parlare da solo per le strade di Manhattan. Alla domanda di Vespa se il libro potrebbe diventare un film, Allen risponde con un misto di desiderio e rassegnazione: “Potrebbe diventarlo, ma se potessi recitare io Baum: è il ruolo perfetto per me, saprei esattamente cosa fare, perché l’ho scritto io. Ma sono troppo vecchio, dovrei essere più giovane, avere una cinquantina d’anni”. Questa dichiarazione sottolinea come la scrittura sia diventata per lui un nuovo campo di esplorazione creativa, forse l’ultimo, come aveva già accennato in passato esprimendo una certa disaffezione verso il mondo del cinema contemporaneo, dominato dallo streaming.

Riflessioni su ironia, mediocrità e giustizia mediatica

L’intervista si addentra poi nei temi filosofici che hanno sempre innervato la sua opera. L’ironia, da sempre suo marchio di fabbrica, viene definita “un’arma, ma abbastanza debole”. Per Allen, non esiste una vera difesa contro la disperazione esistenziale. “In un’ultima analisi, la disperazione a lungo termine è come scommettere al casinò, puoi avere momenti di fortuna ma non puoi sconfiggere il casinò”, afferma con una lucidità quasi brutale. Questa visione pessimistica si estende anche al giudizio sul proprio talento. Nonostante i quattro Oscar e le ventiquattro nomination, si descrive con sorprendente umiltà: “Io vado sempre a caccia dell’idea della mia mediocrità: so di non essere Charlie Chaplin, Stravinskij o un talento straordinario”. Riconosce di avere “un certo senso dell’umorismo e un talento per divertire la gente”, ma ammette: “Avrei voluto avere un grandissimo talento, ma questo tocca a pochissime persone e io non sono tra queste”.

Un passaggio particolarmente significativo riguarda la sua riflessione sul rapporto tra accusa e condanna nell’era mediatica, un tema che lo tocca da vicino. Senza fare riferimenti diretti alla sua vicenda personale, Allen critica aspramente la cosiddetta “cancel culture”: “Quando leggo i giornali, vedo sempre persone accusate di cose, si vedono rovinare la reputazione, la carriera, pur non essendo condannate e senza andare a processo. C’è solo l’accusa a colpirli e questo è molto ingiusto per molti”. Una presa di posizione netta contro la gogna mediatica, che risuona con dichiarazioni precedenti in cui ha definito la cultura della cancellazione “sciocca” e “stupida”.

La fortuna dell’amore: una conclusione di gratitudine

Nonostante il velo di malinconia e disincanto, l’intervista si chiude con una nota di profonda gratitudine per la sua vita privata. Parlando delle donne che ha amato, Allen si definisce “fortunatissimo”. “Sono stato con donne molto interessanti nella vita, ho imparato da loro, sono state di grande aiuto per me, mi hanno appoggiato e sostenuto”, racconta. E conclude con una dedica alla sua famiglia: “Ho una moglie meravigliosa, da trent’anni ormai, ho una famiglia bellissima, non ho nulla di cui lamentarmi. Ringrazio per la fortuna che ho avuto”. Una conclusione che mostra un Woody Allen inedito, lontano dall’intellettuale nevrotico dei suoi film e più vicino a un uomo che, al traguardo dei 90 anni, fa un bilancio della sua esistenza trovando nell’amore e negli affetti il vero antidoto alla disperazione che l’arte, da sola, non riesce a sconfiggere.

Di davinci

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