Roma – La linea del governo italiano non arretra, almeno nelle dichiarazioni ufficiali. La premier Giorgia Meloni, nel corso di un’intensa giornata di incontri istituzionali, ha ribadito al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, giunto a Roma per un cruciale bilaterale, il “pieno e convinto sostegno” dell’Italia. Un impegno che, nelle intenzioni della Presidente del Consiglio, si estenderà con la fornitura di armamenti anche per tutto il 2026. Tuttavia, dietro la facciata di unità, la maggioranza di centrodestra appare attraversata da profonde crepe su dossier strategici, dalle modalità del supporto a Kiev fino alle riforme dell’Unione Europea, gettando ombre sulla tenuta a lungo termine della politica estera italiana.

L’incontro a Palazzo Chigi: promesse e rassicurazioni a Zelensky

L’incontro tra Giorgia Meloni e Volodymyr Zelensky a Palazzo Chigi, durato circa un’ora e mezza, è stato il culmine di un tour diplomatico che ha visto il leader ucraino toccare anche Londra e Bruxelles. Al centro del colloquio, la necessità di garantire un supporto costante all’Ucraina per raggiungere una “pace giusta e duratura”. Meloni ha assicurato che l’Italia continuerà a fare la sua parte, sia sul fronte militare che su quello umanitario. È stato confermato l’impegno a inviare generatori di corrente forniti da aziende italiane per far fronte agli attacchi russi contro le infrastrutture energetiche, una richiesta specifica avanzata da Zelensky in precedenti incontri. Il presidente ucraino, intercettato dalla stampa prima del vertice, ha espresso piena fiducia nella premier italiana per quanto riguarda i negoziati di pace.

Il nodo degli aiuti militari: il decreto per il 2026 e le resistenze della Lega

Il punto più delicato resta la proroga degli aiuti militari. La promessa di Meloni di estendere le forniture fino al 2026 si scontra con le evidenti resistenze della Lega. Un decreto legge che autorizza la cessione di mezzi ed equipaggiamenti militari, inizialmente previsto in uno degli ultimi Consigli dei Ministri, è slittato proprio a causa dei malumori del Carroccio. Nonostante le rassicurazioni della premier (“Il decreto si farà entro la fine dell’anno”) e del vicepremier e Ministro degli Esteri Antonio Tajani (“non c’è dubbio sulla nostra linea”), le frizioni sono palpabili. Matteo Salvini ha espresso più volte perplessità, paventando il rischio che i fondi italiani possano “alimentare la corruzione” a Kiev e definendo “ingenuo” pensare che l’invio di armi possa portare alla riconquista dei territori perduti. Una posizione che ha provocato la reazione stizzita di altri esponenti di governo, come il Ministro della Difesa Guido Crosetto, che ha sottolineato come la Lega abbia finora sempre votato a favore degli aiuti. La questione, dunque, è rimandata a uno dei prossimi Consigli dei Ministri, con l’obbligo di chiudere la partita entro il 31 dicembre, data di scadenza dell’autorizzazione attuale.

Purl e asset russi: i nuovi fronti di divisione

Le divergenze non si fermano al decreto armi. Sul tavolo del governo ci sono altri due dossier spinosi che mettono a nudo le diverse anime della coalizione.

  • Il meccanismo Purl: L’adesione dell’Italia al Prioritized Ukraine Requirements List (Purl), il programma americano che prevede l’acquisto di armamenti statunitensi da parte degli alleati per poi girarli a Kiev, è ancora in fase di valutazione. Questa strategia, voluta dall’amministrazione Trump per ridurre l’esposizione diretta degli USA, vede il governo Meloni in una posizione di riflessione, frenato anche dai timori di un contraccolpo interno in un momento di difficoltà economica.
  • L’uso degli asset russi: Ancor più complessa è la partita sull’utilizzo dei beni russi congelati (oltre 2,3 miliardi solo in Italia) per finanziare la ricostruzione ucraina. Mentre a livello europeo si discute su come impiegare questi fondi, con la Commissione che spinge per un loro utilizzo e la BCE che esprime forti riserve giuridiche, in Italia la Lega si oppone nettamente, chiedendo che i beni vengano restituiti a Mosca. Una posizione che si scontra con quella di Forza Italia e di parte di Fratelli d’Italia, più inclini a trovare una soluzione condivisa a livello europeo.

Lo scontro sul diritto di veto in UE

A completare il quadro delle tensioni interne alla maggioranza, emerge la questione, meno attuale ma non meno significativa, della riforma dei trattati europei e dell’abolizione del diritto di veto. Anche qui, le posizioni sono diametralmente opposte. Da un lato, Fratelli d’Italia, per bocca di Giovanni Donzelli, si schiera per il mantenimento dell’unanimità, vista come uno strumento per difendere l’interesse nazionale. Dall’altro, il Ministro degli Esteri Antonio Tajani, in linea con la tradizione europeista di Forza Italia e con il “testamento politico” di Silvio Berlusconi, spinge per superare il veto, almeno su molte materie, per dare all’Unione “l’elettroshock indispensabile per salvarla dal tramonto”.

In questo scenario, la premier Meloni si trova a dover mediare tra le pressioni degli alleati internazionali, che chiedono un fronte compatto a sostegno dell’Ucraina, e le spinte centrifughe di una maggioranza divisa. La visita di Zelensky a Roma ha riaffermato l’impegno italiano, ma ha anche acceso i riflettori su una navigazione politica che, soprattutto in politica estera, si preannuncia complessa e piena di incognite.

Di veritas

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