Un artista poliedrico, un maestro capace di tessere un filo dorato tra l’eredità dei grandi del Rinascimento e le correnti più innovative del Novecento. Salvatore Fiume (Comiso, 1915 – Milano, 1997) è stato molto più di un pittore: scultore, architetto, scrittore e scenografo, un intellettuale a tutto tondo la cui vita e opera sono state celebrate nello speciale ‘Salvatore Fiume. Il mestiere della pittura’, andato in onda su Rai Storia per il ciclo ‘Italia. Viaggio nella Bellezza’. Un percorso, curato da Amalda Ciani Cuka con la regia di Pasquale D’Aiello, che ha illuminato le tappe di un’esistenza straordinaria, guidato dalla narrazione del critico Roberto Litta e arricchito dalle preziose testimonianze dei figli dell’artista, Luciano e Laura, e di autorevoli esperti.
Dalla Sicilia al mondo: la formazione di un genio
Nato a Comiso, in Sicilia, il 23 ottobre 1915, Salvatore Fiume dimostrò fin da giovanissimo un talento eccezionale che lo portò a vincere, a soli sedici anni, una borsa di studio per il prestigioso Regio Istituto d’Arte del Libro di Urbino. Qui affinò la sua tecnica e acquisì una profonda conoscenza delle arti grafiche, un bagaglio che si rivelerà fondamentale nella sua poliedrica carriera. Trasferitosi a Milano nel 1936, entrò in contatto con l’effervescente ambiente culturale della città, stringendo amicizia con figure di spicco come gli scrittori Dino Buzzati e il futuro premio Nobel Salvatore Quasimodo. Un’esperienza formativa cruciale fu quella del 1938 a Ivrea, dove divenne art director per una rivista culturale voluta da Adriano Olivetti, un ruolo che gli permise di collaborare con intellettuali del calibro di Franco Fortini. Nonostante il successo ottenuto anche in campo letterario con il romanzo “Viva Gioconda!” del 1943, la sua vocazione più profonda rimaneva la pittura. Nel 1946, la decisione di lasciare il lavoro per dedicarsi interamente all’arte lo portò a Canzo, in provincia di Como, dove una vecchia filanda ottocentesca divenne la sua “bottega”, un fecondo laboratorio creativo che oggi ospita la Fondazione a lui dedicata.
L’alter ego Francisco Queyo e la consacrazione
Gli esordi non furono semplici. La sua pittura, intrisa di suggestioni metafisiche e di un profondo amore per i maestri del Quattrocento, faticava a imporsi. Fu allora che Fiume diede prova di genio e audacia, inventando un originale stratagemma: creò l’inesistente pittore gitano spagnolo Francisco Queyo. Sotto questo pseudonimo, realizzò una serie di opere ispirate al folklore iberico che riscossero un immediato successo di critica e di pubblico in una mostra a Milano. L’inganno, svelato dall’amico Dino Buzzati che ne riconobbe il tratto, si trasformò in un trampolino di lancio. La consacrazione definitiva arrivò nel 1949 con la sua prima personale alla Galleria Borromini di Milano. Le sue opere, come le celebri ‘Città di statue’ e ‘Isole di statue’, catturarono l’attenzione internazionale. Fu in quell’occasione che Alfred Barr, il leggendario primo direttore del MoMA di New York, acquistò una sua opera, proiettando Fiume nell’olimpo dell’arte mondiale. L’anno seguente, la partecipazione alla Biennale di Venezia con il trittico ‘Isola di statue’ (oggi ai Musei Vaticani) gli valse una copertina sulla prestigiosa rivista americana ‘Life’.
Il dialogo costante tra Rinascimento e Novecento
La cifra stilistica di Salvatore Fiume risiede proprio nella sua straordinaria capacità di far dialogare epoche e stili apparentemente distanti. Come sottolineato nel documentario dalla docente Cristina Galassi, Fiume “guarda a modelli classici della pittura, ma ha ben chiara la pittura del suo tempo e, nella giganteggiante monumentalità metafisica, riesce a creare un connubio fortissimo con la pittura del Rinascimento”. Questo dialogo si materializza pienamente in cicli di opere fondamentali come le ‘Storie dell’Umbria’, commissionate dall’industriale Bruno Buitoni, dove l’influenza di Piero della Francesca e Paolo Uccello è palpabile. Un altro esempio magnifico fu la grande tela di 48 metri realizzata per il transatlantico Andrea Doria su richiesta dell’architetto Giò Ponti, un’immaginaria città rinascimentale purtroppo inabissatasi con la nave nel 1956. Per Fiume, come spiega la storica dell’arte Elena Pontiggia, “il passato in arte è sempre presente e dialogare con i grandi maestri non è passatismo, ma una ricchezza assoluta”.
Un artista poliedrico: dal teatro all’Africa
La creatività di Fiume non conobbe confini, spaziando dalla pittura alla scultura, dall’architettura alla letteratura. Significativa fu la sua attività di scenografo, in particolare per il Teatro alla Scala di Milano, dove collaborò a otto allestimenti e strinse amicizia con la divina Maria Callas, per la quale disegnò indimenticabili costumi di scena. I suoi orizzonti si allargarono anche geograficamente. I viaggi furono una fonte inesauribile di ispirazione, soprattutto quelli in Africa. Il continente africano entrò prepotentemente nella sua arte, dando vita a capolavori come la celebre ‘Gioconda africana’ del 1974, il cui volto è quello di Zauditu Negash, che divenne sua compagna di vita dopo la scomparsa della moglie. Un amore profondo, testimoniato dal ricordo commosso di Zauditu che ancora conserva una sciarpa regalatale dall’artista 51 anni fa. L’impronta del suo genio si trova persino sulle rocce della Valle di Babile, in Etiopia, dove nel 1973 dipinse le sue ‘isole’ con speciali vernici marine.
Il dono a Fiumefreddo Bruzio: l’arte che rivitalizza un borgo
L’ultima tappa di questo incredibile viaggio artistico ci riporta in Italia, in Calabria. Nel 1975, l’artista, forse attratto dall’assonanza del nome con il proprio cognome, visitò il borgo di Fiumefreddo Bruzio, in provincia di Cosenza. Rimasto affascinato dal luogo, propose al sindaco di allora di rivitalizzare gratuitamente il centro storico con le sue opere. Fu un’emozione indimenticabile per gli abitanti, come ricorda Marco Dalmazio Tarantino, all’epoca bambino. Tra il 1975 e il 1976, Fiume affrescò le pareti interne ed esterne del castello semidiroccato e, successivamente, la volta della Cappella di San Rocco, narrando i miracoli del santo. Sebbene gli affreschi esterni del castello siano stati in parte danneggiati dalle intemperie, Fiume tornò a Fiumefreddo nel 1996 per ridipingerne alcune parti e donò al paese due magnifiche sculture in bronzo, ‘La Ragazza del surf’ e ‘Il Medaglione della Fortuna’, che ancora oggi impreziosiscono le piazze panoramiche del borgo. Un gesto di mecenatismo puro, un’eredità che testimonia il profondo legame dell’artista con il Sud Italia e la sua convinzione nel potere salvifico e rigeneratore della bellezza.
