Una giornata di alta tensione quella vissuta presso la sede milanese di Ikea a Carugate, diventata l’epicentro di una protesta nazionale che ha visto confluire centinaia di lavoratrici e lavoratori da ogni parte d’Italia. Con bandiere, fischietti e una palpabile determinazione, i dipendenti del colosso svedese dell’arredamento hanno dato voce al loro malcontento, culminato in una giornata di sciopero con un’adesione definita “massiccia” dalle organizzazioni sindacali Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs.

Al centro della vertenza, una frattura profonda e apparentemente insanabile tra l’azienda e i suoi dipendenti, le cui ragioni affondano le radici in anni di negoziati infruttuosi e decisioni unilaterali. Il pomo della discordia principale è il mancato rinnovo del Contratto Integrativo Aziendale (CIA), un documento fondamentale per i lavoratori, scaduto ormai da oltre cinque anni, nel lontano 2019. Questo contratto di secondo livello è cruciale perché integra e migliora le condizioni previste dal contratto collettivo nazionale, regolando aspetti specifici della vita lavorativa in azienda come premi di risultato, organizzazione del lavoro e welfare.

Il cuore della protesta: contratto scaduto e un sistema premiante inaccettabile

I sindacati denunciano l’ennesimo tentativo, respinto da Ikea, di riaprire un dialogo costruttivo sul rinnovo del contratto. Ma non è solo una questione di firme su un documento. A esacerbare gli animi è anche un sistema premiante giudicato “inaccettabile” e “un bluff”. Secondo quanto riportato, oltre la metà dei punti vendita in Italia non riceverà alcun premio di risultato per il 2025, mentre gli altri otterranno importi considerati “irrisori”. Il tutto a fronte di spiegazioni aziendali definite “vaghe e contraddittorie” dalle rappresentanze sindacali, che lamentano una totale mancanza di trasparenza.

L’azienda, dal canto suo, motiva la chiusura con il mancato raggiungimento degli obiettivi di budget e presunte criticità economiche, arrivando a definire il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale della Distribuzione Moderna Organizzata come un “aggravio di costi”. Una posizione che i lavoratori faticano a comprendere, considerando il fatturato miliardario del gruppo.

Un clima di lavoro in progressivo peggioramento

Oltre alle questioni puramente economiche, i sindacati denunciano una “deriva unilaterale” dell’azienda e un progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro. Si lamenta la prassi consolidata da parte del management di assumere decisioni su materie importanti come organizzazione del lavoro, turni e mansioni, per poi comunicarle solo a posteriori ai sindacati, senza alcun percorso di confronto negoziale.

Un episodio, in particolare, è diventato emblematico di questo clima: il recente divieto di accesso alla mensa per i lavoratori part-time con pausa ridotta. Una decisione percepita come ingiustificata e punitiva, in aperto contrasto con accordi e prassi consolidate da decenni, che ha ferito i dipendenti non solo sul piano pratico ma anche su quello della dignità.

Altre criticità sollevate riguardano:

  • Classificazione professionale: Nessuna apertura da parte di Ikea sul tema dei passaggi al 3° livello e sul riconoscimento degli specialisti che svolgono funzioni progettuali. L’accusa è quella di voler “schiacciare in basso” gli inquadramenti, con una logica dove “tutti devono fare tutto”, a prescindere dalla professionalità specifica.
  • Elementi economici già condivisi: Nell’ultimo incontro, l’azienda avrebbe fatto marcia indietro anche su punti economici precedentemente concordati, come le maggiorazioni per il lavoro domenicale e il trattamento della malattia, rimandando ogni discussione a un futuro indefinibile.
  • Disparità tra nuovi e vecchi assunti: I sindacati evidenziano come le politiche aziendali stiano creando una frattura generazionale, con i nuovi dipendenti che non hanno accesso alle stesse tutele e maggiorazioni dei colleghi con maggiore anzianità.

La posizione di Ikea: “Disponibili al dialogo”

Di fronte alla mobilitazione, Ikea Italia ha ribadito in una nota il proprio rammarico per il mancato raggiungimento di un accordo, sottolineando come questo avrebbe permesso ai lavoratori di beneficiare di un premio “di gran lunga migliorativo”. L’azienda sostiene di aver lavorato negli ultimi tre anni per migliorare le condizioni economiche previste dal contratto integrativo e si dichiara pronta a sottoscrivere un’intesa sulla base della propria proposta, definita migliorativa. Una visione, tuttavia, che si scontra frontalmente con quella dei sindacati e dei lavoratori, che chiedono “rispetto, diritti e dignità” e l’avvio di una trattativa “vera”, fondata sul riconoscimento del valore del loro lavoro.

Di atlante

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