Roma – Una ferita profonda inferta non solo a un luogo di culto, ma alla memoria collettiva di un’intera città. La sinagoga Beth Michael, situata nel cuore del quartiere Monteverde Vecchio a Roma, è stata teatro di un vile atto vandalico che ha scosso la comunità ebraica e le istituzioni. Sui muri esterni del tempio di viale di Villa Pamphili sono comparse scritte come “Palestina Libera” e “Monteverde antisionista e antifascista”. Ma il gesto più oltraggioso è stato l’imbrattamento con vernice nera della targa dedicata a Stefano Gaj Tachè, il bambino di soli due anni rimasto ucciso nel tragico attentato terroristico che colpì il Tempio Maggiore di Roma il 9 ottobre 1982.
L’INDAGINE DELLA PROCURA PER ODIO RAZZIALE
La risposta delle autorità è stata immediata. La Procura di Roma ha aperto un fascicolo d’inchiesta, ipotizzando il reato di danneggiamento aggravato dall’odio razziale. I pubblici ministeri di piazzale Clodio, coordinati dal procuratore capo Francesco Lo Voi, sono in attesa di ricevere una prima informativa dettagliata dalla Digos, la Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali della Polizia di Stato. Gli investigatori sono al lavoro per identificare i responsabili, analizzando meticolosamente i filmati delle telecamere di videosorveglianza della zona. Dai primi accertamenti, le immagini avrebbero ripreso due persone incappucciate agire nottetempo, intorno alle 4:30.
LA MEMORIA INFRANTA DI STEFANO GAJ TACHÈ
L’atto vandalico assume una connotazione particolarmente grave per aver preso di mira la targa commemorativa di Stefano Gaj Tachè. Quel nome rievoca una delle pagine più buie della storia recente d’Italia. Il 9 ottobre 1982, un commando di terroristi palestinesi legati al gruppo di Abu Nidal lanciò bombe a mano e sparò raffiche di mitra contro i fedeli che uscivano dalla Sinagoga Maggiore di Roma al termine della preghiera per la festa di Shemini Atzeret. Nell’attacco, il piccolo Stefano, che non aveva ancora compiuto due anni, fu colpito mortalmente. Si contarono inoltre circa 40 feriti, alcuni in modo gravissimo. L’attentato lasciò una cicatrice indelebile nella comunità ebraica e nell’intera nazione, e la profanazione della targa dedicata a quella piccola vittima innocente è stata percepita come un insulto intollerabile alla sua memoria e al dolore della sua famiglia. Anche il fratello di Stefano, Gadiel Gaj Taché, allora di quattro anni, fu gravemente ferito in quell’attentato.
LE REAZIONI DELLA COMUNITÀ E DELLE ISTITUZIONI
Dure e unanimi le condanne da parte del mondo politico e delle istituzioni. Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, ha definito l’accaduto “un gesto infame che ferisce la Comunità Ebraica e offende l’intera città”, assicurando l’immediato intervento per la ripulitura. Solidarietà è stata espressa anche dal Presidente del Senato, Ignazio La Russa, che ha parlato di “spregevole atto di antisemitismo”.
Il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Victor Fadlun, ha denunciato come l’episodio si inserisca “in un clima intimidatorio”, sottolineando come “l’antisemitismo è diventato uno strumento di contestazione politica il più abietto possibile”. Fadlun ha chiesto un intervento forte da parte del governo per fermare quella che ha definito una “spirale d’odio”. Sulla stessa linea Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), che ha parlato di un “gesto vile che colpisce non solo la comunità ebraica ma l’intero Paese” e che “dovrebbe scuotere la coscienza di tutti gli italiani”. L’episodio di Monteverde, peraltro, si inserisce in un contesto preoccupante, con la comparsa di altre scritte antisemite in altre zone della Capitale, come quella apparsa sul lungotevere degli Anguillara che recitava “Ebrei sionisti cancro del mondo”, accompagnata da una stella di David equiparata a una svastica.
