ROMA – Un’inchiesta monumentale, battezzata “Dossier di Damasco”, ha squarciato il velo di segretezza che per decenni ha avvolto le operazioni del regime siriano guidato dalla dinastia Assad, deposta circa un anno fa. Guidata dalla radio tedesca NDR e dal Consorzio Internazionale di Giornalisti Investigativi (ICIJ), con la partecipazione di 24 partner mediatici internazionali, l’indagine si basa sulla più vasta fuga di notizie mai avvenuta dai servizi di sicurezza siriani. Si tratta di un archivio immenso e agghiacciante: oltre 134.000 file interni e 33.000 fotografie che, analizzati in modo organico, confermano e documentano con prove schiaccianti la brutalità sistematica di un apparato repressivo costruito per annientare ogni forma di dissenso.

La Banalità del Male: Esecuzioni e Certificati Falsi

I documenti, che coprono un arco temporale dal 1995 al 2024, provengono dai cuori più oscuri del regime: la Direzione Generale dell’Intelligence, l’Intelligence dell’Aeronautica e la Polizia Militare. Proprio quest’ultima era responsabile della catalogazione dei cadaveri e della trasmissione dei fascicoli ai tribunali militari. L’inchiesta rivela una procedura standardizzata e terrificante. I detenuti, spesso arrestati e fatti sparire nel nulla, venivano torturati a morte. Le fotografie esaminate, scattate da fotografi militari tra il 2015 e il 2024, documentano oltre 10.200 corpi. Le immagini, di una crudezza insopportabile, mostrano corpi nudi, emaciati, con evidenti segni di sevizie: denti scheggiati, occhi vitrei, lividi ai polsi causati dalle manette. Ogni corpo era numerato e catalogato, una macabra contabilità dell’orrore.

Per nascondere questi crimini, il regime aveva messo in piedi un sistema di falsificazione di massa. Negli ospedali militari di Damasco, come Harasta e Tishrin, la causa del decesso riportata sui certificati era quasi invariabilmente “arresto cardiorespiratorio”. Una formula di comodo per mascherare la vera causa della morte: le torture e le esecuzioni sommarie. La sequenza ricostruita dagli investigatori è sempre la stessa: arresto, sparizione, tortura, morte, fotografia, certificazione e archiviazione. Un processo burocratico al servizio dello sterminio.

Le Connessioni Internazionali e i Fondi ONU Deviati

Il “Dossier di Damasco” non si limita a documentare le atrocità interne, ma getta luce anche sulle complesse relazioni operative tra i servizi siriani e attori internazionali. Dai file emergono chiari i rapporti con Russia e Iran, storici alleati del regime, ma anche contatti con le agenzie delle Nazioni Unite presenti nel paese. Uno degli aspetti più scioccanti dell’inchiesta riguarda proprio la deviazione di fondi umanitari. Secondo le indagini, almeno 11 milioni di dollari di fondi ONU sono stati dirottati verso una società di sicurezza, la Shorouk, controllata direttamente dagli apparati dell’ex regime. Nonostante gli allarmi lanciati già nel 2022 da organizzazioni come Human Rights Watch, le agenzie ONU hanno continuato a utilizzare questa e altre società legate al potere, giustificando la scelta con la mancanza di alternative sul mercato siriano. Un memo interno, scritto dall’allora Ministro degli Esteri Faysal Miqdad, invitava esplicitamente il personale della Shorouk a sorvegliare gli operatori ONU per conto dei servizi segreti.

L’Impero Economico del “Banchiere del Regime”

L’analisi dei documenti ha permesso inoltre di ricostruire una parte significativa del patrimonio e delle attività di Rami Makhlouf, cugino dell’ex presidente Bashar al Assad e per lungo tempo considerato il “banchiere del regime”. Makhlouf, attraverso una rete di società e grazie ai suoi stretti legami familiari con il potere, ha accumulato una fortuna immensa, controllando settori chiave dell’economia siriana, a partire dalla più grande compagnia di telefonia mobile, Syriatel. Il suo nome era diventato sinonimo della corruzione sistemica che ha afflitto il paese, tanto che uno degli slogan più diffusi durante le prime proteste del 2011 era “Makhlouf, ladro”. I dossier confermano il suo ruolo centrale nel finanziare l’apparato repressivo e nel beneficiare dell’economia di guerra che si è sviluppata a partire dal 2011.

Un Archivio per la Giustizia

Questa inchiesta non è solo un atto di giornalismo, ma rappresenta una pietra miliare per la ricerca della giustizia. Per anni, le prove dei crimini del regime di Assad sono state frammentarie, basate su testimonianze di sopravvissuti e disertori, come l’ex fotografo militare noto con il nome in codice “Caesar”, che nel 2013 portò fuori dalla Siria migliaia di foto di detenuti torturati. Ora, il “Dossier di Damasco” fornisce una prova documentale, interna allo stesso regime, della sistematicità e della pianificazione di questi crimini contro l’umanità. Mentre decine di migliaia di famiglie siriane cercano ancora la verità sulla sorte dei loro cari scomparsi, questo archivio dell’orrore offre uno strumento fondamentale per futuri processi e per garantire che i responsabili di tali atrocità vengano chiamati a risponderne. La strada per la giustizia è ancora lunga, ma la verità, finalmente, sta emergendo in tutta la sua terrificante chiarezza.

Di atlante

Un faro di saggezza digitale 🗼, che illumina il caos delle notizie 📰 con analisi precise 🔍 e un’ironia sottile 😏, invitandovi al dialogo globale 🌐.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *