Milano – Si chiude con una sentenza di assoluzione piena perché “il fatto non sussiste” il cosiddetto processo “Pifferi-bis”, il procedimento parallelo nato da una costola della tragica vicenda della piccola Diana Pifferi, la bimba di 18 mesi lasciata morire di stenti nel luglio del 2022. Il giudice dell’udienza preliminare di Milano, Roberto Crepaldi, ha scagionato l’avvocata Alessia Pontenani, legale di Alessia Pifferi, tre ex psicologhe del carcere di San Vittore e lo psichiatra ed ex consulente della difesa, Marco Garbarini, da tutte le accuse.

Le accuse della Procura: un presunto “piano” per ottenere l’infermità mentale

Al centro del processo, intentato dal pubblico ministero Francesco De Tommasi, vi era l’ipotesi di una presunta attività di “manipolazione” volta ad aiutare Alessia Pifferi a ottenere una perizia psichiatrica favorevole nel processo principale. Secondo l’accusa, gli imputati avrebbero agito in concorso per indirizzare l’esito degli accertamenti verso un “vizio parziale di mente”, nel tentativo di evitare alla donna la condanna all’ergastolo. Il pm aveva definito l’avvocata Pontenani come la “vera regista dell’operazione volta a farla passare per scema”.

Nello specifico, le psicologhe erano accusate di aver somministrato alla Pifferi test psicologici, come quello di Wais per il quoziente intellettivo, ritenuti “incompatibili con le caratteristiche psichiche effettive della detenuta”. L’accusa sosteneva che questi test fossero stati usati per attestare falsamente un deficit cognitivo grave, con un QI pari a 40, nonostante Pifferi si presentasse “lucida, orientata nel tempo e nello spazio, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali”. Lo psichiatra Garbarini, invece, era accusato di aver “eterodiretto” la donna nelle risposte da fornire durante i colloqui.

Per avvalorare la sua tesi, il pm De Tommasi aveva chiesto condanne significative: 4 anni di reclusione per l’avvocata Pontenani e per una delle psicologhe, 3 anni e mezzo per lo psichiatra Garbarini e 3 anni per le altre due professioniste.

La decisione del Gup: “Il fatto non sussiste”

Con una decisione netta, il Gup Roberto Crepaldi ha respinto in toto l’impianto accusatorio, assolvendo gli imputati che avevano scelto il rito abbreviato con la formula più ampia: “perché il fatto non sussiste”. Per un’imputazione residua, l’assoluzione è giunta per “particolare tenuità del fatto”. Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 30 giorni. Una sola psicologa, che non aveva optato per il rito abbreviato, è stata rinviata a giudizio per un capo d’imputazione esterno alla vicenda Pifferi, relativo a presunte irregolarità nel conseguimento di crediti formativi.

Questa sentenza segna un punto fermo su una vicenda processuale che ha generato un aspro dibattito, culminato anche in uno sciopero della Camera Penale di Milano per protestare contro i metodi d’indagine a carico della difesa di Pifferi, che includevano perquisizioni e intercettazioni.

Le reazioni: “Finito un incubo, ristabilita la correttezza del mio operato”

Visibilmente sollevata, l’avvocata Alessia Pontenani ha commentato la sentenza come la fine di un incubo. “Finalmente è stata ristabilita la correttezza del mio operato“, ha dichiarato, sottolineando come la sentenza dimostri che “gli avvocati devono continuare a fare il loro lavoro, che non esiste l’eccesso di difesa ed è giusto che continuino ad assistere, nel migliore dei modi, le persone che hanno bisogno“. Pontenani ha aggiunto una riflessione critica: “Il problema vero è che non è stato corretto fare un processo all’interno di un altro processo. Se forse non ci fosse stato questo, magari il procedimento di Alessia Pifferi sarebbe andato diversamente già in primo grado“.

Anche i legali degli altri imputati hanno espresso soddisfazione, parlando di una “sentenza giusta che ridà dignità a questi professionisti”. L’avvocato Corrado Limentani, difensore di Pontenani, ha affermato che “non è stato riscontrato nemmeno un indizio. Questo processo non doveva nemmeno iniziare“.

Il contesto: la condanna di Alessia Pifferi

Questa vicenda si inserisce nel più ampio e doloroso caso giudiziario di Alessia Pifferi, condannata in primo grado all’ergastolo per l’omicidio volontario pluriaggravato della figlia Diana. In appello, la pena è stata ridotta a 24 anni di reclusione, con l’esclusione dell’aggravante dei futili motivi e il riconoscimento delle attenuanti generiche. Nonostante le richieste della difesa e le consulenze che ipotizzavano un deficit cognitivo, le due perizie d’ufficio, sia in primo che in secondo grado, hanno sempre stabilito la piena capacità di intendere e di volere di Alessia Pifferi al momento dei fatti.

Di veritas

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