BRUXELLES – Un messaggio chiaro e inequivocabile è stato lanciato da Francoforte verso Bruxelles. La Banca Centrale Europea, per voce della sua presidente Christine Lagarde, ha posto un paletto invalicabile sulla questione dell’utilizzo degli asset russi congelati per finanziare un prestito a favore dell’Ucraina. Durante una attesa audizione presso la Commissione Affari economici e monetari del Parlamento Europeo, Lagarde ha affermato con fermezza: “Faremo tutto ciò che possiamo per aiutare l’Ucraina, ma senza violare i trattati”. Una dichiarazione che, pur confermando il sostegno alla causa ucraina, chiude la porta a un coinvolgimento diretto della BCE in operazioni che ne comprometterebbero il mandato e la stabilità giuridica.

Il cuore del problema: l’articolo 123 del Trattato

Il punto nodale della questione, come sottolineato più volte dalla presidente Lagarde, risiede nell’articolo 123 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Questa clausola, fondamentale per l’architettura dell’Eurozona, vieta esplicitamente alla BCE e alle banche centrali nazionali di concedere scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia a istituzioni, organi o organismi dell’Unione, nonché alle amministrazioni pubbliche degli Stati membri. In parole più semplici, vieta l’acquisto diretto di titoli di debito pubblico, una pratica nota come “finanziamento monetario” o “monetizzazione del debito”.

L’idea avanzata dalla Commissione Europea prevedeva che la BCE potesse agire come “prestatore di ultima istanza” o “backstop” per garantire un gigantesco prestito all’Ucraina, utilizzando come collaterale i circa 140 miliardi di euro di asset della banca centrale russa immobilizzati principalmente in Belgio, presso il depositario di titoli Euroclear. Tuttavia, secondo Lagarde, un simile meccanismo costituirebbe una violazione diretta del trattato. “Agire da paracadute finanziario di garanzia per il Belgio vorrebbe dire violare l’articolo 123”, ha precisato, aggiungendo che la BCE “non può monetizzare le obbligazioni degli Stati membri”. Si tratta, ha chiarito, di una questione giuridica, non politica. “Non ci stiamo rifiutando, stiamo rispettando le regole”, ha concluso.

Le implicazioni di un “no” e le alternative sul tavolo

La posizione della BCE complica notevolmente i piani della Commissione Europea, che puntava su questa opzione per assicurare a Kiev le risorse necessarie a sostenere lo sforzo bellico e la stabilità finanziaria del paese, le cui casse rischiano di svuotarsi entro la prossima primavera. Il “no” di Francoforte, anticipato da indiscrezioni del Financial Times, ha aumentato le difficoltà di Bruxelles nel raccogliere il prestito.

Di fronte a questo stallo, l’esecutivo comunitario sta valutando “alternative praticabili”. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha presentato due ipotesi legislative per il biennio 2026-2027:

  • Un prestito basato sul bilancio dell’UE, che richiederebbe però l’unanimità dei 27 Stati membri per modificare il quadro finanziario pluriennale.
  • Un “prestito di riparazione” che utilizzerebbe la liquidità generata dagli asset russi immobilizzati, rimborsabile solo se e quando la Russia pagherà le riparazioni di guerra. Questa soluzione potrebbe essere approvata a maggioranza qualificata.

L’obiettivo è garantire all’Ucraina circa 90 miliardi di euro, ovvero due terzi del fabbisogno stimato di 136 miliardi per i prossimi due anni. La discussione si preannuncia accesa, con alcuni paesi come Ungheria, Slovacchia e lo stesso Belgio che hanno già espresso perplessità e timori legati a possibili ritorsioni legali da parte di Mosca.

Un dibattito che va oltre la finanza

La questione degli asset russi congelati non è solo tecnica, ma tocca nervi scoperti del diritto internazionale e della stabilità finanziaria globale. Christine Lagarde ha più volte espresso preoccupazione che il passaggio dal congelamento alla confisca degli asset possa “rompere l’ordine legale internazionale” che l’Occidente stesso vuole proteggere. Qualsiasi decisione, ha sottolineato, deve essere presa in accordo con il diritto internazionale e in modo coordinato tra tutti i partner del G7, per non minare la fiducia degli investitori nell’euro e la stabilità finanziaria.

La ferma posizione della BCE, dunque, non è solo una difesa del proprio mandato, ma anche un monito a non percorrere strade giuridicamente incerte che potrebbero avere conseguenze imprevedibili. Mentre la pressione politica per trovare soluzioni innovative a sostegno di Kiev aumenta, la guardiana dell’euro ricorda a tutti che il rispetto delle regole è il fondamento su cui si basa l’intera Unione Economica e Monetaria.

Di atlante

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