L’Aquila – La morsa del freddo invernale stringe la città, ma per un gruppo di circa venti richiedenti asilo la notte porta con sé un’angoscia in più: quella di non avere un tetto. È tornata a crescere la preoccupazione nel capoluogo abruzzese per la situazione dei migranti in transito, principalmente uomini provenienti da Pakistan e Afghanistan, che da settimane attendono di formalizzare la loro richiesta di protezione internazionale. Con il termometro che scende sotto lo zero, la loro condizione di senza dimora assume i contorni di una vera e propria emergenza umanitaria.
Durante il giorno, un pasto caldo e un momento di tregua sono offerti dalla mensa della Fraterna Tau, un’associazione di volontariato che rappresenta un punto di riferimento essenziale per queste persone. “Qui vengono a mangiare, trovano coperte, scarpe e la possibilità di fare una doccia”, spiega Paolo Giorgi, responsabile dell’associazione. Ma al calar della sera, le porte della mensa si chiudono e per loro inizia la ricerca disperata di un riparo. Alcuni trovano rifugio nell’area di Piazza d’Armi, altri in anfratti del centro storico, in attesa che si liberi un posto nei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS).
Una crisi che si ripete
La situazione attuale non è nuova. Nelle scorse settimane, un’emergenza analoga aveva portato al trasferimento d’urgenza di circa 80 persone, di cui 44 in Calabria e le restanti in Basilicata, grazie a una decisione congiunta di Prefettura e forze di polizia. Tuttavia, il flusso di arrivi non si è arrestato e il numero di persone in difficoltà è tornato a salire progressivamente, riproponendo con forza la questione della capacità di accoglienza del territorio.
A rendere il quadro ancora più complesso è la totale inconsapevolezza di questi migranti riguardo alle opportunità del cosiddetto “decreto flussi”. Questa procedura, legata a quote di ingresso per motivi di lavoro, non è applicabile a chi ha già intrapreso il percorso della richiesta d’asilo, lasciandoli in un limbo burocratico e senza prospettive immediate.
Le storie dietro i numeri: il caso di ‘Amir’
Dietro i numeri si celano storie di vita drammatiche. Come quella di ‘Amir’, nome di fantasia di un 27enne pakistano, studente di Scienze Politiche, costretto a fuggire dal suo Paese a causa di gravi tensioni interne. La sua vulnerabilità è acuita da problemi di salute, certificati dal pronto soccorso dell’ospedale San Salvatore, dove gli sono state diagnosticate alcune patologie. Nonostante ciò, la sua richiesta di un riparo è rimasta inascoltata. “Quando ho detto che avevo problemi di salute e non potevo dormire fuori”, racconta, “mi hanno risposto in inglese ‘this is not our problem’, ovvero ‘questo non è un problema nostro'”. Il suo prossimo appuntamento in Questura per formalizzare la domanda di asilo è fissato per il 30 dicembre, una data ancora lontana per chi vive alla giornata, al freddo.
L’appello delle associazioni e la risposta della comunità
Di fronte a questa emergenza, la società civile si mobilita. Paolo Giorgi della Fraterna Tau lancia un appello accorato: “Se ci fosse un locale dove farli dormire lo gestiremmo gratuitamente, pur di evitare tutto questo”. L’associazione, insieme ad altre realtà come il centro sociale Torrione San Francesco e singoli cittadini, si sta adoperando per raccogliere e distribuire coperte, vestiti pesanti e generi di conforto. Recentemente, due migranti sono stati trovati a dormire in un’auto abbandonata per sfuggire a una notte con temperature a -5 gradi. Episodi come il furto delle coperte donate, avvenuto mentre i migranti erano a mensa, aggiungono ulteriore desolazione a una situazione già critica.
Le associazioni hanno richiesto un incontro con il vice prefetto per discutere della situazione e trovare soluzioni concrete. L’emergenza, infatti, non è solo logistica ma anche sanitaria, con alcuni migranti che presentano problemi di salute legati alle precarie condizioni igieniche e all’esposizione al freddo.
Un contesto complesso: L’Aquila come “meta” social
A complicare la gestione del fenomeno contribuisce anche la disinformazione. Sembra che L’Aquila sia stata descritta in alcuni video circolati su piattaforme social come TikTok, in lingua pashtu, come un luogo dove sarebbe più “semplice” avviare le pratiche per la richiesta d’asilo. Questa narrazione, sebbene non corrispondente alla realtà delle procedure, ha contribuito ad attrarre un flusso di persone che si trovano poi ad affrontare una realtà ben diversa e più dura del previsto.
Mentre le istituzioni cercano di gestire una situazione complessa, con strutture di accoglienza sature e una burocrazia lenta, la solidarietà dei volontari e dei cittadini resta l’unico appiglio per queste vite sospese, in attesa non solo di un documento, ma di un riparo, di dignità e di un futuro possibile.
