Un nuovo, significativo capitolo si aggiunge alla complessa e dolorosa vicenda dell’ex Ilva di Taranto. La Corte d’Appello di Lecce ha confermato la condanna in sede civile nei confronti di Fabio Arturo Riva, erede di Emilio Riva, storico patron del gruppo siderurgico, e di Luigi Capogrosso, ex direttore dello stabilimento. I due sono stati ritenuti responsabili dei danni provocati dall’inquinamento prodotto dalla fabbrica e dovranno versare, in solido, un risarcimento complessivo di circa 21 milioni di euro al Comune di Taranto. A questa somma si aggiungono oltre 162mila euro destinati all’azienda dei trasporti Amat-Kyma Mobilità e circa 116mila euro all’azienda di igiene urbana Amiu-Kyma Ambiente.
Questa sentenza non solo conferma la responsabilità degli ex vertici aziendali, ma aumenta in modo considerevole l’importo stabilito in primo grado. Nel luglio del 2022, infatti, il giudice civile Raffaele Viglione aveva quantificato l’indennizzo per il Comune in 12 milioni di euro. L’ente locale e le sue società partecipate, rappresentati dall’avvocato Massimo Moretti, avevano però impugnato quella decisione, ritenendo la quantificazione del danno sottostimata. L’appello ha dato loro ragione, portando a una rivalutazione al rialzo che riconosce in modo più ampio il pregiudizio subito dalla città.
Un Danno all’Immagine e all’Identità della Città
Il cuore della sentenza d’appello, presieduta da Anna Maria Marra con relatrice Claudia Calabrese, risiede nel riconoscimento di un danno che va oltre l’aspetto puramente materiale. La Corte ha infatti stabilito che la parte più cospicua del risarcimento, pari a 18 milioni di euro, è dovuta a titolo di “danno non patrimoniale all’immagine, alla reputazione e all’identità storica e culturale della città di Taranto”. I giudici hanno sottolineato come le condotte, definite “reiterate e perduranti da almeno un ventennio”, abbiano leso profondamente la percezione pubblica di Taranto, oscurando la sua millenaria storia di capitale della Magna Grecia e legandola indissolubilmente a una cronaca di disastro ambientale.
Nelle motivazioni si legge come la ricerca del profitto sia stata prevalente rispetto alla tutela della salute, dell’ambiente e della sicurezza collettiva, generando nei cittadini un senso di “insicurezza, disagio e timore per il futuro”. Questo ha minato la fiducia nella capacità delle istituzioni di salvaguardare i diritti fondamentali della comunità.
La Ripartizione Dettagliata dei Risarcimenti
Oltre al danno d’immagine, la sentenza ha quantificato con precisione anche i danni materiali subiti dal patrimonio pubblico. La Corte ha disposto i seguenti indennizzi a favore del Comune:
- Circa 2,5 milioni di euro (oltre Iva) per il danno patrimoniale subito dagli immobili comunali situati nei quartieri più esposti, come la Città Vecchia e Paolo VI.
- Circa 500mila euro per i danni materiali arrecati alle strutture scolastiche.
- 23mila euro per le spese di manutenzione straordinaria del Plesso scolastico Gabelli, situato nel rione Tamburi.
Anche le aziende partecipate del Comune hanno ottenuto un risarcimento per i costi aggiuntivi direttamente legati all’inquinamento:
- Amat-Kyma Mobilità riceverà oltre 162mila euro per i “maggiori oneri e sostituzioni dei materiali d’uso”, come quelli dei mezzi di trasporto pubblico.
- Amiu-Kyma Ambiente otterrà circa 116mila euro per coprire i “maggiori costi sopportati per le attività di spazzamento e lavaggio delle strade”, l’implementazione di tali servizi e la fornitura di tute protettive integrali per i propri dipendenti.
Riva e Capogrosso sono stati inoltre condannati al pagamento delle spese processuali, quantificate in oltre 116mila euro.
Un Contesto Giudiziario Complesso
La sentenza si inserisce in un lungo e travagliato percorso giudiziario che vede al centro il disastro ambientale causato dallo stabilimento siderurgico per decenni. La responsabilità civile di Riva e Capogrosso riguarda in particolare il periodo compreso tra il 1995 e il 2014. È importante ricordare che entrambi sono già stati condannati in sede penale nel processo “Ambiente Svenduto” per disastro ambientale, con pene severissime.
La Corte d’Appello, nel suo pronunciamento, ha fatto riferimento anche alle transazioni già concluse dalle società condebitrici Ilva S.p.A. e Partecipazioni Industriali S.p.A., senza che questo diminuisse la responsabilità personale degli ex dirigenti. La decisione rafforza il principio secondo cui la gestione aziendale non può prescindere dalle sue responsabilità ambientali e sociali, con conseguenze dirette e personali per chi ricopre ruoli di vertice.
