ROMA – Per anni, l’automobilista italiano ha guidato con la percezione di essere sotto l’occhio vigile di un’armata di autovelox, una cifra che, secondo stime e articoli di stampa, aveva raggiunto e superato le 11.000 unità, proiettando l’Italia in cima alla classifica mondiale per densità di controlli di velocità. Una narrazione che si è sgretolata di fronte all’evidenza dei dati ufficiali. Con la pubblicazione del primo, storico, database nazionale sul sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT), emerge una realtà radicalmente diversa: gli apparati di controllo della velocità regolarmente censiti in Italia sono 3.625.
Questo dato, frutto dell’analisi congiunta dell’ASAPS (Associazione Sostenitori e Amici della Polizia Stradale) e dell’Associazione Lorenzo Guarnieri-Alg, non è solo un numero, ma il simbolo di una vera e propria “operazione verità” che ridisegna la geografia della sicurezza stradale e promette di avere un impatto diretto e tangibile sulla vita dei cittadini al volante. A partire dal 30 novembre, infatti, ogni dispositivo non presente in questo elenco ufficiale è da considerarsi illegittimo, e i verbali da esso generati saranno nulli.
La Smentita di un Primato Mai Esistito
Il commento di Giordano Biserni (ASAPS) e Stefano Guarnieri (ALG) è tanto tagliente quanto chiarificatore: “Dovevamo essere i campioni del mondo del numero di autovelox, secondo varie testate, e invece siamo probabilmente come la nostra nazionale di calcio, a rischio di qualificazione alla fase finale”. La cifra di 3.625 apparati, che include postazioni fisse, mobili e in movimento, smentisce categoricamente i dati precedentemente diffusi, che parlavano di 11.000 o addirittura 13.000 dispositivi.
Questa discrepanza solleva interrogativi profondi sulla provenienza di quelle stime e sulla narrazione mediatica che ne è seguita. L’analisi comparativa con le altre nazioni europee rafforza questa nuova prospettiva: l’Italia, con i suoi dati certificati, si scopre avere meno dispositivi di controllo di velocità rispetto a Francia e Inghilterra e, in proporzione al numero di abitanti e veicoli circolanti, anche di Svizzera e Austria. Cade così il mito di un’Italia “gendarme” della velocità, sostituito da un quadro più equilibrato e, finalmente, trasparente.
La Mappa Ufficiale del Controllo Velocità
Il nuovo censimento, reso obbligatorio da un decreto ministeriale, ha imposto a tutti gli enti gestori (Comuni, Province, Polizia Stradale, Carabinieri) di registrare ogni singolo apparato su una piattaforma dedicata del MIT. La suddivisione dei 3.625 dispositivi censiti è la seguente:
- 3.038 apparati sono gestiti dalle Polizie Locali, Provinciali e delle Città Metropolitane.
- 586 apparati sono sotto il controllo diretto della Polizia Stradale. Questo numero include i sistemi Tutor e Vergilius in ambito autostradale, strumenti che, come sottolineano le associazioni, “hanno drasticamente fatto calare il numero di sinistri, morti e feriti sulle strade in cui la velocità è più elevata”.
- 1 solo apparato è stato censito dall’Arma dei Carabinieri, situato a Segonzano, in Trentino.
Un altro dato fondamentale emerso dall’analisi è che tutti gli apparati fissi risultano autorizzati dalle Prefetture delle rispettive province. Questo smonta un’altra narrazione diffusa, quella degli “autovelox truffa” installati senza le dovute autorizzazioni. “C’è da domandarsi, provocatoriamente, se al Ministero dell’Interno non siano perplessi per essere eventualmente ‘accusati’ di concorso in truffa”, chiosano Biserni e Guarnieri.
Cosa Cambia per gli Automobilisti: Trasparenza e Tutele
La pubblicazione del database rappresenta una rivoluzione per i diritti degli automobilisti. Da oggi, chiunque riceva un verbale per eccesso di velocità ha uno strumento in più, potente e accessibile, per verificarne la legittimità. Il primo passo, in caso di multa, sarà consultare l’elenco online sul sito del MIT. Se il dispositivo che ha rilevato l’infrazione non è presente, il verbale è potenzialmente nullo.
Questa nuova trasparenza si inserisce in un quadro normativo in evoluzione. Il “Decreto Autovelox”, infatti, introduce ulteriori regole stringenti che entreranno pienamente in vigore entro il 12 giugno 2025. Tra le novità più significative:
- Criteri di installazione più rigidi: I dispositivi potranno essere collocati solo in aree ad elevato tasso di incidentalità e dove la loro presenza sia giustificata da reali esigenze di sicurezza, ponendo un freno al loro utilizzo indiscriminato per “fare cassa”.
- Distanze minime: Vengono stabilite distanze precise tra la segnaletica di preavviso e l’autovelox, e tra un dispositivo e l’altro, per evitare l’effetto “imboscata”.
- Limiti di velocità congrui: Non sarà più possibile installare autovelox su tratti di strada con un limite di velocità inferiore di oltre 20 km/h rispetto a quello previsto per quella tipologia di strada.
Resta tuttavia aperto il nodo cruciale dell’omologazione. Sebbene il censimento certifichi l’approvazione ministeriale, la giurisprudenza, inclusa la Cassazione, ha più volte sottolineato la distinzione tra “approvazione” e “omologazione”, quest’ultima intesa come una verifica tecnica più approfondita che attesti la perfetta funzionalità del singolo esemplare. Un dispositivo può quindi essere regolarmente censito ma ancora contestabile se privo di un certificato di omologazione specifico, un aspetto che continuerà ad alimentare il contenzioso legale.
Sicurezza Stradale vs. “Fare Cassa”: Un Dibattito Basato su Dati Reali
I nuovi dati offrono l’opportunità di riportare il dibattito sulla sicurezza stradale su un piano di oggettività. L’obiettivo primario dei controlli di velocità, come ricordano costantemente le associazioni per la sicurezza stradale, non è generare entrate per gli enti locali, ma salvare vite umane. Studi scientifici, come quello realizzato dall’Università di Firenze e finanziato dall’Associazione Lorenzo Guarnieri, dimostrano una correlazione diretta tra la presenza di autovelox e la riduzione degli incidenti mortali, con cali che possono arrivare fino al 26%.
La trasparenza introdotta dal database del MIT è quindi un passo fondamentale per ricostruire un rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni. Sapere che ogni dispositivo è censito, autorizzato e collocato secondo criteri di sicurezza e non di mera convenienza economica, può trasformare la percezione dell’autovelox da odiato “bancomat” a indispensabile presidio di legalità e tutela della vita. La strada verso una mobilità più sicura e consapevole passa inevitabilmente dalla chiarezza e dalla correttezza delle informazioni, un principio che, da oggi, ha una solida base di dati su cui poggiare.
