ROMA – Il dibattito sulla riforma costituzionale che mira a introdurre l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, il cosiddetto “premierato”, torna a infiammare l’arena politica italiana. A gettare nuova luce sulla questione è il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, che, a margine della presentazione del libro di Bruno Vespa, ha dichiarato con fermezza: “Per portare a termine la riforma del premierato i tempi ci sono, è sempre una scelta politica. Se la maggioranza decide di utilizzare il tempo che resta per questo obiettivo politico i tempi ci sono, il problema è la scelta politica”. Una dichiarazione che sposta l’accento dalla fattibilità tecnica a una chiara volontà politica della coalizione di governo.

Il nodo della scelta politica e i tempi parlamentari

Le parole di La Russa non lasciano spazio a interpretazioni: la strada per il premierato è percorribile entro l’attuale legislatura, ma tutto dipende dalle decisioni che la maggioranza prenderà. “Non vedo oggi la possibilità di immaginare quale sarà la scelta politica”, ha aggiunto, lasciando intendere che il percorso non è ancora definito e che la riflessione interna al centrodestra è ancora in corso. Questa posizione emerge in un contesto in cui il governo, secondo recenti sviluppi, sembra intenzionato ad accelerare, chiedendo di calendarizzare la riforma alla Camera già a partire da gennaio. L’iter di una riforma costituzionale, tuttavia, è complesso e richiede una doppia approvazione da parte di entrambe le Camere. Il disegno di legge, già approvato in prima lettura al Senato nel giugno 2024, è attualmente all’esame della Camera.

Premierato vs Presidenzialismo: un errore di strategia?

Un passaggio particolarmente significativo dell’intervento di La Russa riguarda la strategia iniziale adottata dalla maggioranza. “Secondo me l’errore è stato quello di partire con il premierato e non con il presidenzialismo perché si immaginava di arrivare a un dialogo con le opposizioni”, ha confessato il Presidente del Senato. Questa ammissione rivela un calcolo politico che, a posteriori, non ha dato i frutti sperati. L’idea era che il premierato, una riforma meno radicale dell’elezione diretta del Capo dello Stato, potesse rappresentare un terreno di confronto più agevole con le forze di minoranza. Tuttavia, il dialogo auspicato non si è concretizzato, lasciando la maggioranza a interrogarsi sulla validità di procedere a una modifica così profonda della Carta senza un’ampia condivisione.

È utile ricordare le differenze sostanziali tra i due modelli:

  • Premierato: Prevede l’elezione diretta del Primo Ministro (o Premier), che rimane legato a un rapporto di fiducia con il Parlamento. Il suo mandato dipende dal sostegno della maggioranza parlamentare.
  • Presidenzialismo: Prevede l’elezione diretta del Presidente, che è sia Capo dello Stato sia Capo del Governo. In questo sistema, il Presidente ha una legittimazione popolare diretta e non dipende dalla fiducia del Parlamento.

La scelta del governo Meloni di virare sul premierato è stata una mossa strategica per cercare un consenso più ampio, che però non è arrivato.

Il dilemma della maggioranza: forzare la mano o cercare il consenso?

La Russa ha evidenziato il “vulnus”, la ferita istituzionale, che una riforma approvata a colpi di maggioranza potrebbe rappresentare. “Spetterà alla maggioranza decidere se cambiare in modo così drastico la Costituzione […] senza l’opposizione, perché i numeri ci sono”, ha affermato, aggiungendo che, sebbene “la sinistra lo ha fatto”, “la maggioranza si preoccupa di questo vulnus”. Questo scrupolo riflette la consapevolezza della portata storica di una simile modifica e delle sue implicazioni per l’equilibrio dei poteri. La riforma, infatti, è vista da molti come un tentativo di rafforzare eccessivamente l’esecutivo a scapito del Parlamento e del ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica.

Lo stesso La Russa, in precedenti occasioni, ha sostenuto che la riforma non intaccherebbe i poteri costituzionali del Colle, ma si limiterebbe a ridimensionare quelle prerogative che, per prassi, il Capo dello Stato ha esercitato per sopperire alle carenze della politica e all’instabilità dei governi.

L’intreccio con la legge elettorale e il futuro della stabilità

Il dibattito sul premierato è indissolubilmente legato a quello sulla legge elettorale. Una nuova legge elettorale, come sottolineato dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, dovrebbe essere “già adatta alla riforma del premierato”. L’obiettivo dichiarato dal centrodestra è garantire la stabilità governativa e il rispetto della volontà popolare. La riforma prevede, tra le altre cose, che il Premier eletto resti in carica per l’intera legislatura di 5 anni. Tuttavia, le opposizioni e parte degli esperti costituzionali temono che il combinato disposto tra premierato e una nuova legge elettorale possa portare a una “deriva autoritaria”, concentrando troppo potere nelle mani di una sola figura.

La strada verso la “madre di tutte le riforme”, come l’ha definita la Premier Giorgia Meloni, è dunque ancora lunga e irta di ostacoli politici e istituzionali. La scelta che la maggioranza sarà chiamata a compiere nei prossimi mesi non determinerà solo il destino del governo, ma potrebbe ridisegnare in modo permanente l’architettura costituzionale della Repubblica Italiana.

Di veritas

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