Brasilia – Un verdetto storico scuote il Brasile dalle fondamenta. La Corte Suprema ha dichiarato “passata in giudicato” la sentenza di condanna per l’ex presidente Jair Bolsonaro, che dovrà scontare 27 anni e 3 mesi di reclusione per il suo ruolo nel tentato colpo di Stato seguito alla sua sconfitta elettorale nel 2022. La decisione, che chiude la porta a ulteriori ricorsi, ha reso la pena immediatamente eseguibile, trasferendo di fatto uno degli uomini più potenti del Paese dal palazzo presidenziale a una cella.
Bolsonaro si trovava già in detenzione cautelare presso la sede della Polizia Federale a Brasilia, una misura disposta dal giudice Alexandre de Moraes dopo che l’ex presidente aveva tentato di manomettere la cavigliera elettronica, un gesto interpretato dalla corte come un “imminente pericolo di fuga”. Con la sentenza definitiva, si apre ora il capitolo dell’esecuzione della pena in un istituto penitenziario.
La condanna e le accuse
La condanna di Bolsonaro è il culmine di un’inchiesta complessa che lo ha visto accusato di reati gravissimi: associazione a delinquere, abolizione violenta dello Stato democratico di diritto e colpo di Stato. Secondo i giudici, l’ex presidente avrebbe orchestrato un piano per sovvertire l’ordine democratico e impedire l’insediamento del suo successore, Luiz Inácio Lula da Silva. Le prove raccolte dalla Procura Generale della Repubblica includono documenti, riunioni segrete e testimonianze che, secondo la Corte, dimostrano un preciso “progetto golpista”. Insieme a Bolsonaro, sono stati condannati anche figure di spicco del suo governo, come l’ex direttore dei servizi d’intelligence, Alexandre Ramagem, e l’ex ministro della Giustizia, Anderson Torres.
La reazione del fronte conservatore: la spinta per l’amnistia
L’incarcerazione di Bolsonaro ha agito da detonatore per il mondo conservatore brasiliano. Subito dopo la notizia, i parlamentari del Partito Liberale (PL), la formazione politica dell’ex presidente, si sono mobilitati per accelerare l’iter di un controverso progetto di legge sull’amnistia. L’obiettivo è chiaro: annullare le condanne legate ai fatti dell’8 gennaio 2023 e, soprattutto, liberare il loro leader.
A guidare la carica politica sono due figure chiave dell’universo bolsonarista:
- Flávio Bolsonaro: Il senatore, figlio dell’ex presidente, è diventato il portavoce della famiglia e il principale negoziatore del progetto di amnistia in Congresso. Ha dichiarato che l’approvazione della legge è diventata “l’obiettivo unico” dell’opposizione, un punto non negoziabile per sanare quelle che definisce “punizioni assurde”.
- Tarcísio de Freitas: Il governatore dello stato di San Paolo, considerato un potenziale erede politico di Bolsonaro e candidato alle presidenziali del 2026, ha promesso di fare “tutto il possibile” per l’approvazione dell’iniziativa. De Freitas ha criticato duramente l’arresto, definendolo non necessario, e ha già promesso che, in caso di elezione a presidente, concederà la grazia a Bolsonaro.
Uno scontro istituzionale e sociale
La proposta di amnistia sta spaccando il Brasile, trasformandosi in un vero e proprio campo di battaglia politico e sociale. Da un lato, i sostenitori di Bolsonaro la vedono come un atto necessario per la “pacificazione del paese” e per porre fine a quella che considerano una persecuzione politica. Dall’altro, le forze di sinistra e una vasta parte della società civile la considerano un inaccettabile colpo di spugna, un via libera all’impunità per chi ha attentato alla democrazia.
Decine di migliaia di persone sono scese in piazza nelle principali città brasiliane per manifestare contro il progetto di legge, in quella che è stata la più grande mobilitazione di sinistra dal ritorno al potere del presidente Lula. Lo stesso Lula ha già annunciato che, qualora il Congresso dovesse approvare una legge di amnistia, porrebbe il suo veto presidenziale. Lo scontro istituzionale è dunque inevitabile e il suo esito determinerà non solo il destino giudiziario di Jair Bolsonaro, ma anche la tenuta democratica del gigante sudamericano.
