Torino si accende di una luce internazionale con la presenza di una delle sue stelle più luminose: Juliette Binoche. L’attrice francese, premio Oscar, ha catalizzato l’attenzione del 43° Torino Film Festival, non solo per ricevere il prestigioso premio “Stella della Mole” a coronamento di una carriera straordinaria, ma anche per presentare in anteprima italiana la sua opera prima da regista, il documentario ‘In-I in Motion’. In una giornata densa di significato, coincidente con la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, la Binoche ha confermato il suo fascino e la sua tempra, offrendo spunti di riflessione di rara intensità sul ruolo della donna, la natura dell’arte e il percorso di una vita spesa all’insegna della ricerca e della trasformazione.
Una voce per le donne: “L’uomo forte che protegge è un’illusione”
Con la combattività che la contraddistingue, Juliette Binoche ha affrontato il tema delicato del rapporto tra uomo e donna, denunciando con forza la privazione delle libertà fondamentali che affligge le donne in paesi come l’Afghanistan, il Congo e l’Iran. “È terribile ed è nostro dovere protestare pubblicamente”, ha dichiarato l’attrice. La sua analisi si è poi spostata su un piano più intimo e culturale, decostruendo lo stereotipo della forza come prerogativa maschile. “Ancora oggi immaginiamo la forza come qualcosa che appartiene solo agli uomini”, ha affermato, confessando come questa concezione l’abbia portata in passato, nonostante un’educazione femminista impartita da una madre forte, a cercare la protezione di una figura maschile. “Una pia illusione”, l’ha definita, “perché questa figura ho scoperto, vivendo, che non esiste”. La sua proposta per un’interazione autentica è un incontro su un piano diverso, “più spirituale, dove sia possibile per entrambe le parti condividere e apprezzarsi”.
‘In-I in Motion’: il coraggio di danzare oltre il cinema
Il debutto alla regia di Juliette Binoche è un’immersione profonda in una delle sfide più audaci della sua carriera: la performance teatrale ‘In-I’, creata e portata in tournée mondiale nel 2008 insieme al celebre coreografo Akram Khan. In quel periodo, l’attrice scelse di abbandonare temporaneamente i set cinematografici per esplorare il linguaggio per lei sconosciuto della danza contemporanea, un mondo “a tratti spietato”. Il documentario, che si avvale delle suggestive scenografie create dall’artista contemporaneo Anish Kapoor, ripercorre quel processo creativo, fatto di improvvisazione, vulnerabilità e un’intensa ricerca di un punto d’incontro tra recitazione e movimento.
Una spinta decisiva verso la regia è arrivata da un’icona del cinema, Robert Redford. “A fare questo film in realtà mi ha spinto Robert Redford”, ha rivelato la Binoche. Dopo aver assistito allo spettacolo a New York, Redford la incoraggiò con passione a trasformare quell’esperienza in un film. Un incoraggiamento che l’attrice ha raccolto, dando vita a un’opera che esplora la difficoltà fisica ed emotiva della danza. “Lo sforzo fisico è tale che ogni volta pensavo sarei morta”, ha confessato, “ma se credi fermamente a una cosa, la devi fare perché ti vengono le ali anche se sai che devi attraversare le tue ombre”.
L’arte come trasformazione e le sfide del set
Interrogata sul potere trasformativo dell’arte, la Binoche non ha dubbi: “Nella vita contano i personaggi e le opere che hanno davvero la capacità di trasformare te stesso”. Come esempio, ha citato la visione de ‘La passione di Giovanna d’Arco’ di Dreyer, un film che l’ha “sconvolta ed estasiata” per la sua straordinaria potenza. Questa ricerca di autenticità si riflette anche nel suo approccio a momenti complessi sul set, come le scene di sesso. “È difficile perché bisogna rappresentare e controllare qualcosa che ha a che fare con il desiderio”, ha spiegato, sottolineando i rischi di una rappresentazione distorta. Pur riconoscendo l’utilità della figura dell’intimacy coordinator, la sua proposta ideale sarebbe “girare liberamente una scena e poi mostrarla agli attori per il loro consenso”.
Le radici di una donna forte: famiglia, arte e sincerità
Ripercorrendo le esperienze che l’hanno formata, Juliette Binoche ha parlato di una vita che “a volte ha scelto per lei”. Nata a Parigi il 9 marzo 1964 da una famiglia di artisti, con un padre scultore e una madre attrice, ha vissuto un’infanzia segnata dal divorzio dei genitori e dagli anni del collegio. Nonostante il caos, è stata una famiglia “con un grandissimo amore per l’arte”, un elemento che si è rivelato fondamentale. Dalla madre, Monique Yvette Stalens, ha ereditato “opinioni forti, la fede nella verità, il dono della sincerità e soprattutto l’affermare il proprio pensiero senza mai compiangersi”. Un’impronta indelebile che ha plasmato l’attrice e la donna, capace oggi di mettersi a nudo come regista e di lanciare messaggi dirompenti con la grazia e la forza che la rendono un’icona senza tempo del cinema mondiale.
