NAPOLI – Nelle profondità silenziose degli oceani, un universo microscopico pullula di vita, governando equilibri ecologici fondamentali per l’intero pianeta. Protagoniste indiscusse di questo mondo sommerso sono le diatomee, microalghe unicellulari che, pur nella loro infinitesimale dimensione, svolgono un ruolo paragonabile a quello delle immense foreste terrestri. Oggi, grazie a un’innovativa ricerca che fonde biologia marina e genomica avanzata, un velo di mistero sulla loro esistenza è stato sollevato. Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communications, frutto della collaborazione tra la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli e l’Università di Ghent in Belgio, ha svelato che la loro riproduzione sessuata, un evento finora considerato raro e quasi impossibile da osservare in natura, è in realtà un processo molto più frequente e diffuso.
Questa scoperta non solo risolve un enigma che ha a lungo affascinato i biologi marini, ma apre anche scenari inediti per comprendere la straordinaria diversità di questi organismi e la loro resilienza di fronte ai cambiamenti climatici. Le diatomee, infatti, sono responsabili della produzione di circa il 25% dell’ossigeno che respiriamo e costituiscono la base di gran parte delle catene alimentari marine. La loro salute e la loro capacità di adattamento sono, quindi, intrinsecamente legate alla salute del nostro pianeta.
Il paradosso del ciclo vitale delle diatomee
Il ciclo vitale delle diatomee è un meccanismo biologico affascinante e del tutto peculiare. Questi organismi si riproducono principalmente per via asessuata, attraverso una semplice divisione cellulare. Tuttavia, questo processo nasconde un’insidia: a ogni divisione, una delle due cellule figlie eredita una parte del “guscio” di silicio (chiamato frustulo) della cellula madre, diventando progressivamente più piccola. Per contrastare questo inesorabile rimpicciolimento e ripristinare le dimensioni originarie, le diatomee devono ricorrere alla riproduzione sessuata. Questa fase, sebbene cruciale per la sopravvivenza della specie, è estremamente breve e difficile da cogliere nei campioni d’acqua marina, un fatto che ha sempre lasciato perplessi gli scienziati.
Come possono organismi così abbondanti e diversificati basare la loro sopravvivenza a lungo termine su un evento apparentemente così raro? È proprio a questa domanda che il team di ricerca ha voluto dare una risposta.
La genomica come lente d’ingrandimento sul mare
Per superare i limiti dell’osservazione diretta, i ricercatori, coordinati da Maria Immacolata Ferrante della Stazione Zoologica Anton Dohrn e da Klaas Vandepoele e Wim Vyverman dell’ateneo belga, hanno adottato un approccio a due fasi. In un primo momento, hanno coltivato diverse specie di diatomee in laboratorio, in condizioni ambientali meticolosamente controllate. Questo ha permesso loro di osservare da vicino l’intero processo riproduttivo e, soprattutto, di utilizzare sofisticate tecniche di biologia molecolare e sequenziamento del DNA per identificare i meccanismi genetici alla base della riproduzione sessuata.
“Gli studi condotti su una serie di diatomee modello in condizioni controllate ci hanno permesso di identificare i meccanismi molecolari che regolano la riproduzione sessuata e di individuare un insieme di geni condivisi da diverse specie,” ha spiegato la dottoressa Ferrante. L’identificazione di questi “geni marcatori” è stata la chiave di volta della ricerca.
La seconda fase del lavoro, come illustrato da Lucia Campese, esperta in analisi metagenomiche e co-prima autrice della pubblicazione, ha visto i ricercatori scandagliare immense banche dati genomiche globali, come quelle raccolte durante la spedizione TARA Oceans. Cercando la “firma” dei geni sessuali identificati in laboratorio all’interno di questi dataset, il team ha potuto mappare la presenza e l’attività legata alla riproduzione sessuata delle diatomee negli oceani di tutto il mondo. I risultati sono stati sorprendenti: i dati genomici hanno dimostrato inequivocabilmente che questo processo è molto più diffuso e attivo di quanto si potesse immaginare basandosi sulle sole osservazioni al microscopio.
Implicazioni di una scoperta fondamentale
La rivelazione che la riproduzione sessuata è un evento comune nella vita delle diatomee ha profonde implicazioni. Oltre a garantire il ripristino delle dimensioni cellulari, questo processo favorisce la ricombinazione genetica, un meccanismo essenziale che alimenta la diversità genetica all’interno delle popolazioni. Una maggiore diversità genetica si traduce in una maggiore capacità di adattamento a condizioni ambientali mutevoli, come l’aumento delle temperature oceaniche o la variazione della disponibilità di nutrienti.
Questa scoperta apre quindi nuove ed entusiasmanti prospettive di ricerca:
- Monitoraggio ambientale: Sarà possibile studiare come i diversi fattori ambientali (temperatura, inquinamento, acidificazione) influenzino la frequenza della riproduzione sessuata, usando questi geni come bioindicatori della salute degli ecosistemi marini.
- Genetica di popolazione: L’analisi della distribuzione di questi geni permetterà di comprendere meglio la struttura genetica delle popolazioni naturali di diatomee e i flussi genici tra diverse aree oceaniche.
- Evoluzione e biodiversità: Approfondire i meccanismi alla base della loro capacità adattativa è fondamentale per prevedere come questi organismi cruciali risponderanno ai cambiamenti climatici e per comprendere le origini della loro straordinaria biodiversità.
In un’epoca in cui la salute degli oceani è una priorità globale, comprendere a fondo la biologia degli organismi che ne costituiscono le fondamenta è più importante che mai. La ricerca della Stazione Zoologica Anton Dohrn e dell’Università di Ghent non solo aggiunge un tassello cruciale alla nostra conoscenza del mondo naturale, ma ci fornisce anche nuovi strumenti per proteggerlo. La vita segreta delle diatomee, svelata dal loro stesso DNA, ci ricorda ancora una volta come le più grandi scoperte possano nascondersi nelle forme di vita più piccole.
