Un braccio di ferro geopolitico per la COP31
La competizione per ospitare la COP31, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici prevista per il 2026, si è trasformata in una complessa sfida geopolitica che vede contrapposte Australia e Turchia. La decisione finale spetta ai 28 Paesi membri del gruppo regionale Onu Weog (Europa occidentale e altri), un gruppo che include nazioni come Canada, Nuova Zelanda e Islanda, mentre gli Stati Uniti partecipano in qualità di osservatori. La posta in gioco è alta, e la scelta del paese ospitante potrebbe avere implicazioni significative per le dinamiche internazionali legate alle politiche climatiche.
La candidatura australiana: un’opportunità per il Pacifico?
L’Australia aveva inizialmente costruito una solida candidatura, proponendo di organizzare la conferenza in collaborazione con i Paesi del Pacifico, tra i più vulnerabili agli effetti devastanti dell’innalzamento del livello del mare. Canberra vedeva in questo evento un’opportunità strategica per rafforzare la propria diplomazia regionale e per affrontare temi cruciali come la prevenzione degli incendi boschivi e la salvaguardia della Grande Barriera Corallina, un ecosistema marino unico al mondo. Tuttavia, la posizione dell’Australia è stata minata dal suo ruolo di primo esportatore mondiale di carbone e grande produttore di gas, una contraddizione che solleva interrogativi sulla sua reale volontà di accelerare la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.
La Turchia e le sue alleanze
La Turchia, d’altra parte, punta a capitalizzare sul sostegno di potenze come Russia e Arabia Saudita, paesi che spesso si sono dimostrati restii ad adottare accordi ambiziosi in materia di clima. L’appoggio di Mosca è particolarmente significativo, dato che la Russia teme che la sua delegazione potrebbe non ottenere i visti necessari per partecipare alla COP31 qualora si tenesse in Australia, a causa delle sanzioni internazionali attualmente in vigore. Questa dinamica evidenzia come la politica climatica sia sempre più intrecciata con questioni geopolitiche e di sicurezza internazionale.
Germania come piano B?
Nel caso in cui il gruppo Weog non riuscisse a raggiungere un’intesa nei prossimi giorni, la conferenza potrebbe essere trasferita in Germania, paese che ospita la sede della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc). In questo scenario, il Brasile, che detiene la presidenza della COP fino all’avvio della COP31, continuerebbe a guidare i lavori, pur senza ospitare fisicamente l’evento. Questa soluzione di compromesso riflette la difficoltà di trovare un accordo in un contesto internazionale sempre più polarizzato.
Una disputa politica sotto mentite spoglie climatiche
Fonti diplomatiche citate dal quotidiano brasiliano Valor hanno descritto la situazione come “una disputa politica sotto mentite spoglie climatiche”, sottolineando come gli interessi nazionali e le alleanze strategiche stiano influenzando pesantemente il processo decisionale. La scelta del paese ospitante della COP31, quindi, non è solo una questione logistica, ma un vero e proprio test per la capacità della comunità internazionale di cooperare efficacemente nella lotta contro i cambiamenti climatici.
Riflessioni sulla governance climatica globale
La competizione per la COP31 mette in luce le sfide della governance climatica globale. La politicizzazione della scelta del paese ospitante solleva interrogativi sulla capacità di superare gli interessi nazionali per affrontare una minaccia comune. La necessità di un approccio multilaterale inclusivo e trasparente è più urgente che mai per garantire che la lotta contro i cambiamenti climatici non sia ostaggio di dinamiche geopolitiche.
