Dimissioni dal reparto psichiatrico e ritorno in carcere
Emanuele Ragnedda, il 41enne di Arzachena che ha confessato l’omicidio di Cinzia Pinna, ha lasciato il reparto del servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) dell’ospedale Santissima Annunziata di Sassari. La dimissione è avvenuta nella tarda mattinata di oggi, e Ragnedda è stato immediatamente trasferito nel carcere di Bancali, dove era già detenuto dal 24 settembre, giorno della sua confessione ai carabinieri di Palau.
Tentativo di suicidio e ricovero
Il ritorno in carcere segue un periodo di ricovero iniziato il 7 ottobre, quando Ragnedda era stato trovato nella sua cella in uno stato di forte agitazione. I segni riscontrati avevano subito fatto pensare a un tentativo di suicidio, compiuto utilizzando un lenzuolo. Dopo le cure e il monitoraggio nel reparto psichiatrico, le autorità sanitarie hanno ritenuto che le sue condizioni fossero sufficientemente stabili per permettere il rientro in ambiente carcerario.
Richiesta di maggiori tutele
Luca Montella, il legale di Emanuele Ragnedda, ha espresso preoccupazione per la salute del suo assistito e ha formalmente richiesto nuove misure di sorveglianza e tutela. L’avvocato teme che Ragnedda possa compiere ulteriori gesti estremi o autolesionistici, data la sua condizione psicologica particolarmente fragile e il peso del crimine commesso.
Indagini sullo yacht Nikitai
Mentre Ragnedda torna dietro le sbarre, proseguono le indagini sull’omicidio di Cinzia Pinna. Gli specialisti del RIS (Reparto Investigazioni Scientifiche) sono al lavoro da questo pomeriggio sullo yacht Nikitai, di proprietà della famiglia Ragnedda. L’imbarcazione, ormeggiata nel porticciolo di Cannigione, è stata posta sotto sequestro per permettere agli inquirenti di effettuare tutti i rilievi necessari alla ricerca di eventuali tracce o elementi utili alle indagini. Gli investigatori sperano di trovare riscontri che possano chiarire ulteriormente la dinamica dell’omicidio e il ruolo di Ragnedda.
Riflessioni sul caso
Il caso di Emanuele Ragnedda solleva interrogativi importanti sulla gestione della salute mentale dei detenuti e sulla necessità di garantire adeguati livelli di sorveglianza e supporto psicologico, soprattutto in situazioni di particolare fragilità come questa. La richiesta di maggiori tutele avanzata dal legale evidenzia la complessità di bilanciare le esigenze di giustizia con la tutela della dignità e dell’integrità fisica e psichica del singolo individuo.
