Doccia fredda per il settore vitivinicolo italiano
L’attesa esenzione a tariffa zero per il settore del vino, degli alcolici e della birra è stata esclusa dalla dichiarazione congiunta sui dazi concordata tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti. Il nuovo regime tariffario statunitense, che prevede un’aliquota massima del 15%, non risparmia il legname (e quindi le botti) né le aziende vitivinicole, vanificando le speranze di un alleggerimento fiscale. Questa decisione rappresenta una vera e propria stangata per i produttori italiani, con stime di perdite che raggiungono i 317 milioni di euro nei prossimi 12 mesi, ulteriormente aggravate dalla debolezza del dollaro.
I dettagli del nuovo regime tariffario
Il nuovo regime tariffario stabilisce che i prodotti già soggetti a dazi della nazione più favorita (‘Npf’) pari o superiori al 15% non subiranno ulteriori aggravi. A partire dal primo settembre, diversi gruppi di beni, tra cui il sughero, saranno sottoposti alle sole tariffe Npf, nell’ambito di un regime speciale che l’UE mira ad estendere ad altre categorie merceologiche. Tuttavia, il commissario Ue al commercio, Maros Sefcovic, ha ammesso che non è stato possibile includere vino, alcolici e birra tra i settori che continuerebbero a essere a livello ‘Npf’, pur lasciando aperta la possibilità di futuri ampliamenti.
Reazioni e stime dei danni
La notizia ha suscitato una forte delusione tra i viticoltori e i distillatori italiani, che avevano riposto grandi speranze in questa esenzione. L’Unione Italiana Vini (UIV) ha stimato un danno di circa 317 milioni di euro per le imprese nei prossimi 12 mesi, con un mancato guadagno per i partner commerciali d’oltreoceano che potrebbe raggiungere 1,7 miliardi di dollari. In caso di ulteriore indebolimento del dollaro, il danno potrebbe salire fino a 460 milioni di euro. Il presidente di UIV, Lamberto Frescobaldi, ha previsto un secondo semestre molto difficile, auspicando una correzione di rotta nei tempi supplementari.
Il governo italiano in prima linea
Nonostante la delusione, il governo italiano si è impegnato a continuare a battersi per l’inclusione del settore agroalimentare tra i settori esenti. Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, ha ricordato che le esportazioni di vino italiano verso gli Stati Uniti nel 2024 hanno raggiunto circa 1,9 miliardi di euro, rappresentando il 24% del totale dell’export di vino italiano. Anche Confagricoltura ha sottolineato l’importanza del mercato statunitense per prodotti come il Pecorino Romano, con un valore di 170 milioni di euro.
Preoccupazioni e possibili scenari futuri
La rigidità nelle negoziazioni alimenta le preoccupazioni del settore. Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, ha ribadito la necessità di riportare il vino a beneficiare di un dazio zero e ha promesso di lavorare con il governo e il Parlamento europeo per proteggere il comparto. Paolo De Castro, presidente di Nomisma ed esperto delle dinamiche europarlamentari, ha espresso un giudizio positivo sull’accordo finale Ue-Usa sui dazi, pur riconoscendo che non è sufficiente per dare una spinta alla crescita.
Solidarietà internazionale
L’Italia non è sola in questa battaglia. Anche i vitivinicoltori francesi hanno espresso una profonda delusione. Gabriel Picard, presidente della Fevs (Federazione francese esportatori di vini e alcolici), ha dichiarato di aver lavorato intensamente per ottenere l’esenzione e ha espresso la certezza che questa decisione comporterà grosse difficoltà per la filiera dei vini e alcolici.
Un’occasione persa per il Made in Italy
La mancata esenzione dai dazi USA rappresenta un duro colpo per il settore vitivinicolo italiano, un’eccellenza del Made in Italy che contribuisce in modo significativo all’economia nazionale. È fondamentale che il governo italiano continui a negoziare con gli Stati Uniti per ottenere condizioni più favorevoli e proteggere gli interessi dei produttori italiani. Allo stesso tempo, è necessario diversificare i mercati di esportazione per ridurre la dipendenza dal mercato statunitense e mitigare i rischi derivanti da eventuali future dispute commerciali.
