Appello della Procura contro l’assoluzione del professore universitario
La Procura di Catania ha formalmente appellato la sentenza di assoluzione emessa nei confronti di un professore dell’università etnea, precedentemente accusato di violenza sessuale e molestie verbali ai danni di otto studentesse. Gli episodi contestati sarebbero avvenuti tra il 2010 e il 2014 all’interno dell’ospedale Vittorio Emanuele-Ferrarotto. La decisione di appellare la sentenza è stata presa dai magistrati Sebastiano Ardita e Francesco Cristoforo Alessandro Camerano, che hanno espresso forti critiche riguardo alla gestione del processo e alla valutazione delle prove.
Le motivazioni dell’appello: lentezza del processo e valutazione delle prove
Nel ricorso, i magistrati hanno censurato “l’inaccettabile decorso del tempo” del processo, che si è protratto per nove anni coinvolgendo diversi collegi giudicanti. Secondo la Procura, questa eccessiva durata ha causato un danno alle parti offese e ha inciso negativamente sui ricordi dei testimoni. Inoltre, è stata contestata la motivazione della sentenza di primo grado, che in alcuni casi ha derubricato gli atti di violenza sessuale a semplici contatti fisici non particolarmente invasivi.
Contraddizioni nella motivazione della sentenza
I PM Ardita e Camerano hanno evidenziato una “insanabile vizio logico di contraddizione interna della motivazione”. Da un lato, la sentenza riconosce l’esistenza di un “comportamento predatorio, ossessivo nei confronti delle studentesse” da parte dell’imputato, supportato dalle testimonianze delle vittime e di altri testimoni a conoscenza delle sue “seriali modi di fare”. Dall’altro, la sentenza conclude illogicamente con la “carenza di prova del dolo” e dell’elemento oggettivo del reato di violenza sessuale, nonostante sia stata accertata la presenza di un “delirio sessuale” da parte dell’imputato.
La Procura critica la parcellizzazione delle testimonianze
La Procura contesta l’approccio della sentenza che si concentra sul singolo dettaglio, trascurando il quadro d’insieme. Secondo i magistrati, vi è stata una “errata parcellizzazione” delle testimonianze delle parti offese, che ha portato a una “non motivata conclusione della inattendibilità dell’intero narrato convergente”. La Procura ritiene che il racconto complessivo di otto giovani vittime, molte delle quali non si conoscevano tra loro all’epoca dei fatti, costituisca una prova insuperabile della responsabilità penale dell’imputato. Le vittime, infatti, avrebbero riferito concordemente le medesime violenze subite, in modo convergente, dettagliato e puntuale, anche con riferimenti a particolari specifici.
Riflessioni sulla giustizia e la tutela delle vittime
L’appello della Procura di Catania solleva importanti questioni sulla giustizia e la tutela delle vittime di violenza sessuale. La lentezza dei processi e la difficoltà di valutare correttamente le testimonianze possono compromettere la possibilità di ottenere giustizia e rischiano di minare la fiducia delle vittime nel sistema giudiziario. È fondamentale che la magistratura si impegni a garantire processi rapidi ed equi, in cui le testimonianze delle vittime siano ascoltate e valutate con la dovuta attenzione, evitando interpretazioni che possano sminuire la gravità dei fatti.
