Un campanello d’allarme dalle Alpi

Le aree protette alpine, tradizionalmente considerate rifugi sicuri per la biodiversità, stanno mostrando segni di cedimento di fronte alla crescente pressione del cambiamento climatico. Un recente studio condotto dal dipartimento di Scienze della vita e biologia dei sistemi dell’Università di Torino mette in luce una preoccupante tendenza: le comunità ornitiche all’interno di queste aree stanno diventando sempre più simili a quelle presenti in zone non tutelate.

Il Community Temperature Index: una spia del cambiamento

I ricercatori, attraverso un’analisi dei dati raccolti per 13 anni nelle Alpi Cozie e Graie, hanno utilizzato il Community Temperature Index (Cti) per valutare l’evoluzione delle comunità ornitiche. Il Cti è un indicatore della tolleranza termica delle comunità, e i risultati dello studio sono allarmanti. Mentre al di fuori delle aree protette il Cti è rimasto stabile, all’interno è aumentato rapidamente, con un incremento delle temperature medie annuali di oltre 1,19 °C.

Specie in declino e nuove colonizzazioni

Questo cambiamento è dovuto principalmente a due fattori: il declino delle specie di alta quota, più vulnerabili all’aumento delle temperature, e la colonizzazione di specie più comuni provenienti dalle quote più basse, come la capinera e lo scricciolo. Questo fenomeno sta portando a un’omogeneizzazione delle comunità ornitiche, con la perdita di specie specializzate e la diminuzione della biodiversità.

La vegetazione cambia, gli uccelli si adattano (o scompaiono)

Le variazioni più marcate si osservano al limite del bosco, dove la vegetazione arbustiva e forestale sta avanzando verso le alte quote. Questo avanzamento è causato dall’abbandono delle attività pastorali e, soprattutto, dal cambiamento climatico. Gli autori dello studio individuano proprio il cambiamento della copertura vegetale come il principale motore di trasformazione delle comunità ornitiche. Le specie che dipendono dagli habitat aperti di alta quota si trovano a dover competere con specie più adattabili agli ambienti boschivi, con conseguenze negative per la loro sopravvivenza.

Strategie per un futuro alpino sostenibile

Per contrastare questi effetti, lo studio suggerisce l’adozione di misure gestionali adattive, come il pascolo mirato e la conservazione della connettività altitudinale. Il pascolo mirato può contribuire a mantenere gli habitat aperti di alta quota, favorendo le specie che li abitano. La conservazione della connettività altitudinale, invece, permette agli uccelli di spostarsi verso quote più elevate in risposta all’aumento delle temperature. Inoltre, è fondamentale un monitoraggio continuo delle comunità ornitiche negli anni a venire, per valutare l’efficacia delle misure adottate e per adattare le strategie di conservazione in base alle nuove sfide.
Solo espandendo la protezione formale e integrando azioni concrete sarà possibile mantenere habitat in grado di ospitare anche in futuro le specie simbolo delle Alpi, evitandone la scomparsa. La sfida è complessa, ma la posta in gioco è alta: preservare la biodiversità unica delle Alpi per le generazioni future.

Un monito per la conservazione della biodiversità

Questo studio ci ricorda che la semplice designazione di aree protette non è sufficiente a garantire la conservazione della biodiversità in un contesto di rapido cambiamento climatico. È necessario un approccio più attivo e adattivo, che tenga conto delle dinamiche ecologiche in corso e che coinvolga tutti gli attori del territorio, dalle istituzioni ai cittadini. La conservazione della biodiversità alpina è una responsabilità condivisa, che richiede un impegno costante e una visione a lungo termine.

Di veritas

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