
Un dolore che ritorna: la tragedia di Emanuele Costa
Era il 2003 quando Emanuele Costa, un ragazzino di soli 12 anni, perse la vita nelle acque del Lago di Santa Croce, in provincia di Belluno. Un incidente tragico, avvenuto in una zona temporaneamente prosciugata del lago a causa di lavori di manutenzione da parte dell’Enel. La scomparsa di Emanuele segnò profondamente la sua famiglia, in particolare la madre e i nonni, che videro spezzarsi una giovane vita in modo così improvviso e doloroso.
La battaglia legale e il risarcimento iniziale
In seguito alla tragedia, la famiglia di Emanuele intraprese una lunga battaglia legale per ottenere giustizia e un risarcimento per la perdita subita. In primo grado, il Tribunale riconobbe la responsabilità dell’Enel, evidenziando la mancanza di adeguata segnaletica che avvertisse del pericolo rappresentato dalle zone prosciugate e dalle pozze d’acqua nascoste. Venne così stabilito un risarcimento di 400 mila euro per la madre e 200 mila euro per i nonni del ragazzo.
La svolta in appello e la decisione della Cassazione
La vicenda giudiziaria, tuttavia, non si concluse con la sentenza di primo grado. L’Enel presentò appello, e la Corte d’Appello ribaltò parzialmente la decisione, individuando una corresponsabilità della madre di Emanuele. Secondo i giudici, la donna avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione ai movimenti del figlio, consapevole dei pericoli presenti nella zona. La Cassazione, infine, ha confermato la sentenza d’Appello, stabilendo un concorso di colpa del 20% a carico del ragazzo e della madre e obbligando la famiglia a restituire il 20% del risarcimento già percepito.
Le motivazioni della sentenza e la reazione della famiglia
La Cassazione ha motivato la sua decisione sottolineando la negligenza e l’omessa vigilanza da parte della madre, ritenendo che avrebbe dovuto rendersi conto delle insidie del luogo e impedire al figlio, che non sapeva nuotare, di avventurarsi nella zona prosciugata del lago. La sentenza ha suscitato incredulità e dolore nella famiglia di Emanuele, che si è detta incapace di accettare una decisione che, a distanza di 22 anni dalla tragedia, ridistribuisce le colpe e riapre una ferita mai rimarginata. I legali della famiglia hanno espresso il loro disappunto, definendo la sentenza “inappellabile” e “difficile da mandare giù”.
Il contesto: il Lago di Santa Croce e le attività dell’Enel
Il Lago di Santa Croce è un importante bacino artificiale situato in provincia di Belluno, utilizzato per la produzione di energia idroelettrica. L’Enel, gestore della centrale idroelettrica, periodicamente abbassa il livello del lago per effettuare lavori di manutenzione. Proprio durante uno di questi interventi, nel luglio 2003, si verificò la tragedia che costò la vita a Emanuele Costa. La vicenda ha sollevato interrogativi sulla sicurezza delle aree limitrofe al lago durante i periodi di prosciugamento e sulla necessità di una segnaletica più chiara ed efficace per avvertire i visitatori dei pericoli.
Una riflessione sulla giustizia e il dolore
La vicenda di Emanuele Costa solleva interrogativi profondi sul ruolo della giustizia e sulla sua capacità di lenire il dolore delle vittime. A distanza di oltre vent’anni dalla tragedia, la decisione della Cassazione riapre una ferita mai rimarginata, infliggendo un ulteriore colpo a una famiglia già provata dalla perdita. Pur nel rispetto delle decisioni giudiziarie, è difficile non provare empatia per una madre che, dopo aver perso il figlio in modo così tragico, si vede ora costretta a restituire parte del risarcimento ricevuto, in un contesto in cui la responsabilità dell’ente gestore del lago appare, quantomeno, rilevante. Questa vicenda ci ricorda quanto sia complesso il percorso della giustizia e quanto sia importante garantire che le sentenze, pur nel rispetto della legge, tengano conto del dolore e delle sofferenze delle persone coinvolte.