Un’arma genetica contro l’Alzheimer: la scoperta italo-francese
Un team di ricercatori italiani e francesi ha fatto una scoperta significativa nella lotta contro la malattia di Alzheimer. Identificando una variante genetica ‘alleata’ del cervello, lo studio, coordinato dalla Fondazione Santa Lucia di Roma e pubblicato sulla rivista *Cell Death and Disease*, getta nuova luce sui meccanismi di protezione contro questa patologia neurodegenerativa. La ricerca apre la strada allo sviluppo di terapie personalizzate che sfruttano la capacità naturale del cervello di difendersi dall’accumulo di proteine tossiche.
Come funziona la variante genetica NDP52
La variante genetica individuata agisce potenziando l’autofagia, un processo cellulare fondamentale che permette ai neuroni di eliminare prodotti di scarto e proteine anomale che, accumulandosi, compromettono il loro funzionamento. In pratica, questa variante aiuta i neuroni a ‘ripulirsi’, mantenendo la loro efficienza e proteggendoli dalla degenerazione tipica dell’Alzheimer. I ricercatori hanno analizzato i dati genetici di oltre 1.400 persone, sia malate che sane, individuando la variante del gene NDP52, che gioca un ruolo chiave nel processo dell’autofagia, ossia del meccanismo fondamentale che consente alle cellule di rimuovere e riciclare i componenti danneggiati, e che risulta alterato nell’Alzheimer.
Implicazioni per terapie personalizzate
La scoperta di questa variante genetica non solo offre una migliore comprensione dei meccanismi di difesa del cervello contro l’Alzheimer, ma apre anche nuove prospettive per lo sviluppo di terapie personalizzate. L’idea è quella di emulare e potenziare i meccanismi naturali di protezione presenti nelle persone portatrici di questa variante, anziché limitarsi a sostituire le funzioni perse a causa della malattia. Come afferma Emiliano Giardina di Fondazione Santa Lucia e Università di Roma Tor Vergata, tra gli autori dello studio: “L’obiettivo di queste nuove terapie è di non limitarsi a sostituire una capacità persa dal nostro organismo, ma emulare e potenziare meccanismi che sono per noi naturali”.
Il contributo della ricerca italiana
Lo studio è frutto di una collaborazione tra diverse istituzioni italiane e francesi, tra cui l’Istituto di Biologia e Patologia Molecolari del Consiglio Nazionale delle Ricerche, le Università di Roma Sapienza, Roma Tre e Tor Vergata, quelle dell’Aquila e di Padova, la Fondazione Policlinico Universitario del Gemelli e l’Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna. Questo dimostra l’eccellenza della ricerca italiana nel campo delle neuroscienze e il suo impegno nella lotta contro le malattie neurodegenerative.
Prospettive future e sfide
La scoperta di questa variante genetica rappresenta un passo avanti significativo nella comprensione dell’Alzheimer. Tuttavia, è importante sottolineare che si tratta solo di un tassello di un puzzle complesso. Ulteriori ricerche saranno necessarie per comprendere appieno il ruolo di questa variante e per sviluppare terapie efficaci basate su questo meccanismo protettivo. La sfida futura sarà quella di tradurre queste scoperte in benefici concreti per i pazienti affetti da questa malattia devastante.
