
Una tragedia familiare consumata nell’indifferenza
Sono trascorsi cinquant’anni da quel tragico giorno in cui Filomena, madre di sette figli, fu brutalmente assassinata dal marito Gaetano con un’accetta. Un femminicidio consumato in un contesto di abbandono e solitudine, dove le istituzioni avrebbero potuto e dovuto fare di più per prevenire l’irreparabile.
A ripercorrere quei momenti di dolore è Andrea Carnevale, ex calciatore di Serie A e attuale responsabile Osservatori dell’Udinese, durante la sua audizione in Commissione parlamentare di inchiesta sul Femminicidio. Le sue parole, cariche di emozione e sofferenza, riaprono una ferita mai del tutto rimarginata, una ferita che affonda le sue radici in un passato in cui la violenza sulle donne era spesso sottovalutata e minimizzata.
Un padre malato e abbandonato a sé stesso
Gaetano Carnevale, descritto come un uomo malato che parlava da solo e dormiva con un coltello sotto il letto, non ricevette il sostegno necessario da parte delle istituzioni. I carabinieri, secondo quanto riferito da Andrea, non intervennero tempestivamente per evitare il delitto, mentre i medici non fornirono l’assistenza psichiatrica di cui l’uomo aveva evidentemente bisogno.
Dopo cinque anni trascorsi in un ospedale psichiatrico giudiziario, Gaetano fece ritorno nella casa di famiglia, un ambiente tutt’altro che adatto a una persona con i suoi problemi. In seguito a un alterco con i figli, l’uomo si tolse la vita, gettandosi da una finestra. Un epilogo tragico che, secondo Andrea Carnevale, avrebbe potuto essere evitato se lo Stato avesse fatto il suo dovere.
La testimonianza di Andrea Carnevale: una denuncia contro l’indifferenza
“Lo Stato ha fatto poco o nulla per evitarlo”, ha dichiarato Andrea Carnevale, riferendosi al femminicidio della madre Filomena, avvenuto il 25 settembre 1985 nei pressi di un fiume tra Monte San Biagio e Fondi, in provincia di Latina. Gaetano, dopo aver ucciso la moglie, si consegnò ai carabinieri, motivando il suo gesto con l’accusa di infedeltà. Un’accusa che Andrea respinge con forza, sottolineando come la madre fosse una donna dedita alla famiglia e ai suoi sette figli.
Nelle parole dell’ex calciatore non traspare rancore nei confronti del padre: “Non ho mai odiato mio padre”, afferma. Tuttavia, non nasconde la sua amarezza per l’assenza di supporto da parte delle istituzioni, che avrebbero potuto prevenire sia il femminicidio che il successivo suicidio del padre.
Andrea Carnevale ha raccontato di aver fatto visita al padre nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, dove l’uomo era stato rinchiuso per cinque anni. Un incontro breve e doloroso, durante il quale il padre continuò a inveire contro la madre, accusandola di infedeltà. Poco dopo, Gaetano fece ritorno a casa, senza ricevere un adeguato supporto psicologico e sociale. “Lo hanno messo in casa con una minorenne e tutta la famiglia”, ha denunciato Andrea, sottolineando l’inadeguatezza delle misure adottate dalle istituzioni.
Una storia di resilienza e rinascita
Per 49 anni, Andrea Carnevale ha mantenuto il silenzio su questa drammatica vicenda familiare, una vicenda “rimasta congelata” nel suo cuore. Solo nel novembre 2024 ha deciso di renderla pubblica, grazie anche al sostegno dell’Associazione Telefono Donna, di cui oggi è testimonial.
Andrea Carnevale ha voluto smentire le statistiche che affermano che i bambini vittime di queste tragedie hanno più probabilità di perdersi e di non farcela nella vita. “Per me non è stato così”, ha dichiarato con orgoglio. “Io ce l’ho fatta. Ho trovato la forza e la capacità di rialzarmi e ripartire insieme ai miei fratelli e sorelle. Abbiamo fatto squadra, ci siamo aiutati e supportati. Forse questo è il gol più importante, quello dello scudetto della mia vita”.
Un monito per il futuro
La storia di Andrea Carnevale è un monito per il futuro, un invito a non dimenticare le vittime di femminicidio e a impegnarsi affinché simili tragedie non si ripetano. È necessario rafforzare i servizi di supporto alle donne vittime di violenza, garantire un’adeguata assistenza psichiatrica alle persone con problemi mentali e promuovere una cultura del rispetto e della parità di genere. Solo così potremo costruire una società più giusta e sicura per tutti.