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La vicenda Clostebol: dall’inizio all’accordo
La vicenda doping che ha visto coinvolto Jannik Sinner si è conclusa oggi con un accordo tra il tennista e la Wada (World Anti-Doping Agency). Il caso era scoppiato in seguito ai controlli effettuati durante il torneo di Indian Wells nel marzo 2024, dove erano state rilevate tracce di clostebol, una sostanza proibita, nelle urine del giocatore.
La positività e la difesa di Sinner
La positività al clostebol era emersa il 10 marzo 2024, durante il torneo di Indian Wells, e confermata da un secondo controllo otto giorni dopo. Sinner si era difeso sostenendo di essere entrato in contatto con la sostanza per contaminazione. Il clostebol è infatti presente nel Trofodermin, un farmaco da banco utilizzato in Italia per trattare lesioni cutanee. Secondo la versione del tennista, il suo allora fisioterapista, Giacomo Naldi, utilizzava il farmaco per una ferita e, durante i massaggi, avrebbe involontariamente trasferito la sostanza a Sinner. Naldi è stato successivamente licenziato.
L’assoluzione e il ricorso della Wada
L’ITIA (International Tennis Integrity Agency), l’agenzia che si occupa dell’integrità nel tennis, aveva inizialmente accolto la tesi della contaminazione involontaria, tenendo conto della quantità infinitesimale di metaboliti della sostanza proibita rinvenuta nelle analisi. Di conseguenza, aveva assolto il giocatore. Tuttavia, la Wada aveva presentato ricorso al Tas (Tribunale Arbitrale dello Sport), chiedendo una squalifica più severa, tra uno e due anni.
L’accordo finale e la squalifica
L’udienza di arbitrato era stata fissata per il 16 e 17 aprile, a porte chiuse. Tuttavia, grazie all’accordo raggiunto oggi, la vicenda si è conclusa con una squalifica di tre mesi per Sinner. Questo patteggiamento evita un lungo e costoso processo e permette al tennista di tornare in campo in tempi relativamente brevi.
Un compromesso che chiude una vicenda delicata
L’accordo tra Sinner e la Wada rappresenta un compromesso che pone fine a una vicenda delicata. La squalifica di tre mesi, pur rappresentando una sanzione, consente al tennista di evitare una squalifica più lunga e di concentrarsi sul futuro della sua carriera. Resta fondamentale che vengano adottate tutte le misure necessarie per evitare future contaminazioni e tutelare l’integrità dello sport.