L’appello di Kylie Moore Gilbert all’Italia
La giurista australiana Kylie Moore Gilbert, che ha trascorso due anni in isolamento nella prigione di Evin a Teheran, ha lanciato un appello all’Italia affinché non ceda alle pressioni iraniane e resista per il rilascio di Cecilia Sala, detenuta nella stessa prigione.
“L’Italia non ha alternativa, non può estradare Abedini e deve trovare un accordo con l’Iran per far rilasciare Cecilia. E’ la cosa migliore da fare ora. E lei ha una sola opzione: resistere e essere forte”, ha dichiarato Moore Gilbert all’ANSA.
La giurista australiana, liberata nel 2020 dopo uno scambio di prigionieri, ha sottolineato che l’Iran tende a cercare persone di determinate nazionalità per avere un maggiore potere contrattuale nelle trattative.
“Lo scambio di prigionieri fu di fatto l’unica opzione nel mio caso, ma anche nei casi dell’olandese Johann Floderus e del belga Olivier Vandecasteele: gli iraniani cercano proprio persone di alcune nazionalità perchè hanno più valore, sono più utili per fare pressioni e cercare di ottenere ciò che vogliono. E’ successo a me, è successo a Cecilia”, ha spiegato Moore Gilbert.
I rischi di cedere alle pressioni
Moore Gilbert ha avvertito che cedere alle pressioni iraniane potrebbe rafforzare il regime autoritario della Repubblica islamica e incentivare la “diplomazia degli ostaggi” che, secondo lei, andrebbe combattuta dall’Occidente.
“Cedere alle pressioni iraniane significa “rafforzare il regime autoritario della Repubblica islamica il cui consenso viene accresciuto da questi risultati che vengono visti come successi politici”, ha affermato. “Inoltre, viene incentivata la diplomazia degli ostaggi che invece andrebbe combattuta dall’Occidente.”
L’esperienza di Evin
Moore Gilbert ha descritto in dettaglio la sua esperienza nella prigione di Evin, sottolineando le difficoltà e le torture psicologiche subite durante la detenzione.
“Evin, ricorda Kylie, “sono muri altissimi e filo spinato e il terrore costante di chiedersi ‘ora che mi faranno? Mi condanneranno a morte? Mi uccideranno?'”
La giurista australiana ha spiegato come ha imparato a sopravvivere in quel contesto, concentrandosi sul presente e resistendo alle pressioni psicologiche.
“I primi tempi sono i più duri perché ti fanno pressioni di ogni tipo, cercano di debilitarti psicologicamente per portarti al punto di rottura durante gli interrogatori, ma ci devi passare e uscirne vivo”, ha detto. “Per questo idealmente dico a Cecilia di resistere, essere forte, e scoprirà di essere più forte di quanto poteva immaginare.”
Un messaggio di speranza
Moore Gilbert ha concluso il suo intervento con un messaggio di speranza per Cecilia Sala, sottolineando che non è sola e che il suo paese sta lavorando per il suo rilascio.
“Da queste esperienze se ne esce migliori, più consapevoli dei propri limiti e delle proprie qualità. Evin è un inferno ma si cresce anche all’inferno”, ha detto. “E, anche se si è prigionieri, si può scegliere di non cedere mai: mai fare false confessioni, mai cedere alle pressioni negli interrogatori. Cedere serve solo per dargli la possibilità di alzare la posta. Cecilia non è sola, il suo paese sta lavorando per lei.”
La diplomazia degli ostaggi
La testimonianza di Kylie Moore Gilbert evidenzia la delicata situazione in cui si trova l’Italia in relazione al caso di Cecilia Sala. La “diplomazia degli ostaggi”, come la definisce la giurista australiana, è una pratica pericolosa che può avere conseguenze negative sia per i cittadini coinvolti che per la politica internazionale. L’Italia deve trovare un equilibrio tra la necessità di proteggere i propri cittadini e la volontà di non cedere alle pressioni di un regime autoritario come quello iraniano.