Rinvio a giudizio per l’ex direttrice e il comandante della Polizia penitenziaria
Il gup di Catanzaro ha disposto il rinvio a giudizio per Angela Paravati, 59 anni, ex direttrice della casa circondariale di Catanzaro, e Simona Poli, 48 anni, comandante della Polizia penitenziaria a Catanzaro dal 2018 al 2022. Entrambe sono accusate di concorso esterno in associazione per delinquere. A Paravati vengono contestati anche i reati di falso, evasione, falsità ideologica e corruzione. Il processo davanti al Tribunale collegiale di Catanzaro si svolgerà il prossimo 28 gennaio.
L’accusa: agevolazione di gruppi criminali all’interno del carcere
Secondo l’accusa, sia Paravati che Poli avrebbero agevolato due gruppi criminali che si erano formati all’interno del carcere, dediti, grazie anche al sostegno di alcuni agenti della polizia penitenziaria, a spacciare droga e far circolare telefonini e sim card. Il procedimento, istruito dai pm Veronica Calcagno e Anna Chiara Reale, coinvolge in tutto 77 persone, tra agenti della penitenziaria operativi a Catanzaro Siano, detenuti e familiari di detenuti.
Il ruolo dei gruppi criminali e la complicità degli agenti
Secondo l’accusa, all’interno della struttura erano sorti due gruppi criminali, uno dedito allo spaccio di stupefacenti nella casa circondariale e uno dedito allo smercio di sim card e telefonini. Il tutto avveniva, sostengono gli inquirenti, con la complicità di operatori della polizia penitenziaria e anche di parenti dei detenuti che provvedevano a fornire droga e telefonini.
Prossime udienze e rito abbreviato
Per altri imputati che hanno scelto il rito abbreviato, l’udienza proseguirà il prossimo 29 gennaio. Il gup scioglierà la riserva nei confronti di coloro che hanno optato per il rito alternativo.
La gravità delle accuse e l’impatto sulla sicurezza carceraria
Le accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e di altri reati gravi rivolte all’ex direttrice e al comandante della Polizia penitenziaria di Catanzaro sono estremamente serie. Se provate, queste accuse dimostrerebbero un grave fallimento nella gestione della sicurezza all’interno della casa circondariale, con gravi conseguenze per l’ordine pubblico e la sicurezza dei detenuti e del personale. È fondamentale che il processo si svolga in modo equo e trasparente, e che la verità emerga in modo chiaro.