Lo sgombero del Clap: un’anima di Montmartre spenta
Il Club Lepic Abbesses Pétanque (Clap), un circolo di bocce con una storia di oltre 50 anni, ha visto spegnersi la sua anima. Da aprile scorso, i 300 membri dell’associazione sportiva si sono opposti con tenacia all’ordine di sgombero arrivato dal Consiglio di Stato, organizzando turni di vigilanza giorno e notte per impedire di essere sloggiati dal loro campo di bocce. La loro resistenza è stata però vana, con il comune di Parigi che ha deciso di recuperare il terreno per affidarlo all’Hotel Particulier, un albergo di lusso adiacente al circolo. L’albergo ha ottenuto una concessione per trasformare l’area in un giardino aperto al pubblico.
Proteste e ricorsi inascoltati
La decisione del comune ha suscitato un fiume di proteste. Nonostante quattro ricorsi e una petizione firmata da oltre 13.000 persone, il bocciofilo è stato sgomberato ieri dalle forze dell’ordine. Tra le voci di dissenso, spicca quella dell’attore Fabrice Luchini, cresciuto non lontano dal Clap, che ha espresso la sua delusione su X: “Lieve sconcerto nel vedere che un comune per quanto socialista preferisce un progetto di turismo di lusso a un club bocciofilo di abitanti del quartiere di ogni strato sociale presente da 50 anni in un giardinetto protetto. Che tempi!”
Un simbolo di socialità e di storia
Il Clap era molto più di un semplice circolo di bocce. Era un luogo di aggregazione sociale, un punto di riferimento per gli abitanti del quartiere, un’oasi di convivialità e di sport. La sua chiusura rappresenta una perdita non solo per i suoi membri, ma per tutta la comunità di Montmartre. Il Clap era un simbolo della storia del quartiere, un luogo che ha visto passare generazioni di parigini. La sua chiusura rappresenta un’ulteriore perdita di identità per un quartiere già in profonda trasformazione.
Una scelta discutibile
La scelta del comune di Parigi di privilegiare un progetto di turismo di lusso a un circolo di bocce storico e ben integrato nel tessuto sociale del quartiere è discutibile. La decisione di sacrificare un luogo di aggregazione sociale per un giardino pubblico aperto a tutti, ma gestito da un hotel di lusso, solleva interrogativi sulla priorità data al profitto rispetto al benessere della comunità.