La difesa di Campagna
Il ct della nazionale italiana di pallanuoto, Alessandro Campagna, ha rilasciato una dichiarazione a Sky Sport in merito alla squalifica di sei mesi inflitta al Settebello per la protesta messa in atto durante i Giochi Olimpici di Parigi. Campagna ha ribadito che non ci fu alcuna aggressione fisica all’arbitro, come erroneamente riportato da alcuni media.
“I sei mesi ce li aspettavamo, perché siamo gente di sport e persone mature: ma non c’è stata alcuna aggressione fisica all’arbitro”, ha dichiarato Campagna. “Abbiamo voluto fare quel tipo di protesta perché è stato commesso il più grande errore irrazionale della storia dello sport e della pallanuoto in particolare”, ha aggiunto.
Campagna ha sottolineato che la protesta è stata motivata da un errore arbitrale che ha penalizzato la squadra italiana in un momento cruciale del torneo. “Mentre tutto il mondo vedeva una cosa l’arbitro un’altra, in un quarto di finale alle Olimpiadi dove c’è un carico emotivo notevole”, ha spiegato. “Ci tengo a precisare che non c’è stata alcuna aggressione fisica, ci si è ritrovati in un momento di calca, ma nessuno ha toccato nessuno. Contestazione verbale sì, c’è stata pacatezza nella protesta”.
La consapevolezza delle azioni
Il ct azzurro ha riconosciuto che la squadra ha commesso degli errori durante la protesta. “Siamo consapevoli che abbiamo fatto cose che non si fanno, ma erano avvenuti fatti particolarmente gravi: prendiamo atto della squalifica, i sei mesi vengono dati per la protesta in sé non per le frasi pronunciate”, ha concluso Campagna.
L’impatto della squalifica
La squalifica di sei mesi inflitta al Settebello ha un impatto significativo sulla squadra italiana di pallanuoto. La squadra sarà impossibilitata a partecipare a importanti tornei internazionali per un periodo di tempo considerevole. È importante valutare se la sanzione sia proporzionata all’infrazione commessa e se la protesta sia stata effettivamente un atto di aggressione fisica o una manifestazione di dissenso, come sostenuto da Campagna. La questione solleva interrogativi sull’equilibrio tra il rispetto delle regole e la libertà di espressione degli atleti in situazioni di forte emotività.