Un’eredità di impegno politico e culturale
Si è spento a Roma all’età di 95 anni Domenico Rosati, figura di spicco del mondo cattolico italiano, noto per il suo impegno politico e giornalistico. Il decesso è stato annunciato dai figli Maria, Marco ed Elisabetta, a tre anni dalla scomparsa della moglie Elena, sposata nel 1956. Rosati ha ricoperto per 11 anni la presidenza delle Associazioni cristiane lavoratori italiani (Acli), dal 1976 al 1987, e successivamente ha prestato servizio come senatore indipendente nella Democrazia Cristiana per una legislatura, fino al 1992.
La sua figura è stata fondamentale nel ristabilire un solido rapporto tra le Acli e la gerarchia ecclesiastica dopo un periodo di tensioni. Rosati ha guidato l’associazione in un momento cruciale, caratterizzato da un’incrinatura del rapporto con la Chiesa a seguito dell’ipotesi socialista formulata durante la presidenza di Emilio Gabaglio, culminata nella deplorazione di Paolo VI del 19 giugno 1971. Sotto la sua presidenza, le Acli hanno ritrovato un’identità di “movimento della società civile per la riforma della politica” incentrata sui temi della pace, del lavoro e della democrazia, con l’obiettivo di promuovere la rigenerazione dei partiti.
Rosati si è sempre battuto per l’autonomia dei cattolici in politica e nei rapporti ecclesiali, incarnando un’idea di impegno sociale e politico che non si limitasse alla mera obbedienza, ma che si fondasse su una profonda riflessione critica e un’autentica partecipazione alla vita pubblica. Questa sua convinzione si rifletteva anche nel suo stile di scrittura e di pensiero, caratterizzato da un’analisi attenta e ponderata delle questioni politiche e sociali.
Un giornalista e un uomo di pace
Nato a Vetralla in provincia di Viterbo il 5 febbraio 1929, Rosati si è laureato in giurisprudenza all’università La Sapienza di Roma. La sua passione per il giornalismo lo ha accompagnato fin dagli anni Cinquanta, quando ha iniziato a lavorare per le Acli come capo dell’ufficio stampa e poi come direttore del periodico Azione Sociale. In seguito, ha collaborato come commentatore politico e religioso con vari giornali e riviste, tra cui Avvenire, Il Mattino e l’Unità.
Rosati ha sempre mantenuto una forte attenzione ai temi della pace e della giustizia sociale. Nel 1983, ha promosso la marcia per la pace da Palermo a Ginevra contro la politica del riarmo atomico, in particolare contro la presenza dei missili nella base di Comiso. La sua voce si è elevata anche in occasione dei funerali di Enrico Berlinguer, il 13 giugno 1984, in piazza San Giovanni, dove ha pronunciato una preghiera laica che si concludeva con “riposi in pace”, cui la folla dei militanti del Pci ha risposto con un “amen”.
Rosati ha lasciato un’eredità di impegno politico e culturale che ha contribuito a plasmare il panorama italiano. La sua figura è stata un punto di riferimento per il mondo cattolico e per tutti coloro che si sono battuti per la pace, la giustizia e la democrazia.
Un’eredità di impegno politico e culturale
La sua eredità è un invito a riflettere sull’importanza dell’autonomia critica e del dialogo costruttivo nella società. Rosati ci ha insegnato che la fede e la politica non sono in contraddizione, ma possono convivere e arricchirsi a vicenda. La sua vita è stata un esempio di come la fede possa essere un motore di impegno sociale e politico, contribuendo a costruire una società più giusta e solidale.
Un uomo di fede e di politica
Domenico Rosati è stato un uomo che ha saputo coniugare fede e politica, dimostrando che questi due ambiti non sono in contrasto, ma possono anzi integrarsi e arricchirsi a vicenda. La sua vita è stata un esempio di come la fede possa essere un motore di impegno sociale e politico, contribuendo a costruire una società più giusta e solidale. La sua eredità è un invito a riflettere sull’importanza dell’autonomia critica e del dialogo costruttivo nella società.