Una Turandot che vive nella tomba degli avi
La nuova produzione di Turandot al Teatro Massimo di Palermo, in scena dal 22 settembre al 29 settembre, presenta una regia di Alessandro Talevi che si concentra sul rapporto indissolubile che la principessa ha con gli avi defunti. Talevi insiste sul legame con un’altra principessa, vissuta in un tempo lontano, violentata da un uomo e all’origine dell’odio che Turandot nutre per tutti gli uomini. Il coro, protagonista assoluto dell’opera, è collocato in due grandi fosse, in basso come schiavi, a simboleggiare la loro sottomissione. In basso ci sono due cunicoli che conservano i teschi dei principi che hanno chiesto la mano di Turandot e sono stati decapitati per non aver risolto i tre enigmi.
La regia oscilla tra la tradizione della scena e dei costumi di Anna Bonomelli e un guizzo innovativo: le tre maschere indossano costumi degni di un cabaret anni ’20. Questa idea, che forse andava giocata di più e su più piani, si sposa bene con le ardite armonie dell’ultima opera di Puccini, di cui il teatro celebra i 100 anni dalla morte.
Carlo Goldestein dirige l’orchestra con una lettura corretta e sobria, mediando tra il suono spinto e le necessità dei cantanti che affrontano una partitura dalle altezze proibitive. Anche Calaf, Timur e Liù si nascondono tra gli schiavi, in attesa del momento in cui Calaf deciderà di affrontare la prova degli enigmi.
Un cast di talento
Nel cast si distinguono la Liù di Juliana Grigoryan, che da stasera si alterna con la palermitana Jessica Nuccio, e la Turandot di Ewa Plonka, che offre una prova impegnativa e ben riuscita. Martin Muehle interpreta il principe ignoto, Calaf, con una dizione perfetta e una buona interpretazione del ruolo, fino all’amatissima “Nessun Dorma”. Alessio Arduini, Matteo Mezzaro e Blagoj Nacoski completano il cast, mentre Giorgi Manoshvili si distingue per la sua interpretazione di Timur.
La produzione si replica fino al 29 settembre, offrendo al pubblico l’opportunità di assistere a questa suggestiva interpretazione di Turandot.
Un’interpretazione che si confronta con la tradizione
La regia di Alessandro Talevi si confronta con la tradizione dell’opera, ma con un guizzo innovativo che forse avrebbe potuto essere sviluppato in modo più incisivo. L’idea di inserire elementi del cabaret anni ’20, pur interessante, rimane un’idea isolata che non viene pienamente integrata nel contesto generale. Nonostante questo, la produzione offre una lettura interessante dell’opera, con un cast di talento e una direzione musicale attenta alle esigenze della partitura.