La sospensione di Serena Bortone
La Rai ha comminato sei giorni di sospensione a Serena Bortone, conduttrice del programma “Oggi è un altro giorno”, a seguito di un procedimento disciplinare aperto per il caso Scurati. La sanzione sarebbe stata decisa per la violazione del vincolo di riservatezza da parte della giornalista, che aveva denunciato sui social la mancata messa in onda del monologo di Antonio Scurati, inizialmente previsto nel programma “Chesarà…” il 25 aprile.
La vicenda aveva scatenato forti proteste da parte dell’opposizione e dei sindacati, che avevano accusato la Rai di censura. L’amministratore delegato Roberto Sergio, intervenendo alla Festa del Foglio, aveva espresso la sua opinione secondo cui Bortone avrebbe meritato il licenziamento, sostenendo che “a nessun dipendente di nessuna azienda sarebbe consentito di dire cose contro l’azienda in cui lavora”. Sergio aveva poi negato qualsiasi censura, spiegando di aver inviato un messaggio WhatsApp a Bortone invitandola a mandare in onda il monologo e che lo scrittore aveva deciso di non partecipare solo perché non veniva pagato.
Le conseguenze del caso
Il programma “Chesarà…”, al centro della controversia, è stato cancellato dai palinsesti per la prossima stagione. Bortone, invece, dovrebbe condurre un programma il sabato sera su Rai3 incentrato su temi culturali, anche se la nuova trasmissione non è ancora stata ufficialmente confermata.
La sospensione di Bortone rappresenta l’epilogo di una vicenda che ha acceso il dibattito sul ruolo dei dipendenti Rai e sulla libertà di espressione all’interno dell’azienda. La decisione della Rai di sospendere la conduttrice, pur non essendo un licenziamento come auspicato da Sergio, testimonia comunque l’attenzione dell’azienda nei confronti delle azioni dei propri dipendenti, soprattutto quando queste comportano critiche pubbliche nei confronti dell’azienda stessa.
Un caso complesso
Il caso Bortone solleva interrogativi complessi sul rapporto tra dipendenti e aziende, in particolare nel contesto del servizio pubblico. Da un lato, è comprensibile che la Rai, come qualsiasi azienda, desideri tutelare la propria immagine e gestire eventuali conflitti interni. Dall’altro lato, è importante garantire la libertà di espressione dei propri dipendenti, soprattutto quando si tratta di giornalisti che svolgono un ruolo pubblico. Il caso pone in luce la difficoltà di trovare un equilibrio tra questi due aspetti, soprattutto in un contesto come quello televisivo, dove i confini tra vita privata e professionale sono spesso labili.