Un culto per le scarpe: la commedia nera di Luigi Di Capua
“Holy Shoes” è una commedia nera diretta da Luigi Di Capua, esordiente alla regia e membro del trio comico The Pills. Il film racconta le storie di quattro personaggi le cui vite sono profondamente influenzate dal culto delle scarpe, simbolo del potere degli oggetti sul nostro desiderio e sulla nostra identità.
Tra i personaggi troviamo Luciana (Carla Signoris), una donna sposata che cambia radicalmente la sua vita dopo aver trovato un paio di scarpe nere con tacco dodici, che diventano per lei la rappresentazione di una vita mai vissuta. Poi c’è Bibbolino (Simone Liberati), un quarantenne separato e immaturo che vende scarpe, figlio di un generale che gli incombe.
Le mitiche sneakers da mille euro sono al centro delle storie di Filippetto (Raffaele Argesanu), un ragazzo di quattordici anni che regala un paio di scarpe false alla sua ragazza con tragiche conseguenze, e di una ragazza cinese che spera di riscattare il sogno di studiare negli Stati Uniti tramite il commercio di sneakers contraffatte.
La tirannia del desiderio e il potere degli oggetti
Secondo il regista, “Holy Shoes” vuole raccontare “uno degli aspetti più intriganti e potenti della società contemporanea: la tirannia del desiderio. Il desiderio di essere ciò che non siamo, il desiderio di possedere ciò che non abbiamo”.
Di Capua sostiene che nella società dei consumi il desiderio è il motore di tutto, poiché attraverso ciò che desideriamo si forma la nostra identità. In un’epoca di liquidità digitale e di modelli instabili, scambiamo le nostre identità con quelle degli altri e i nostri desideri rischiano di essere quelli degli altri.
Il film si concentra sul rapporto ambiguo e conturbante che gli esseri umani hanno sviluppato con gli oggetti, in particolare con le scarpe, che sono diventate un feticcio che si è allontanato dalla propria funzione primaria. L’esplosione del fenomeno delle sneakers, a partire dagli anni ’80 con le Nike, ha trasformato la passione per le scarpe in un mercato da novantacinque miliardi di dollari.
I personaggi di Holy Shoes
Simone Liberati descrive il suo personaggio, Bibbolino, come “il rampollo di una famiglia alto borghese romana con un padre importante. Sono un uomo debole, mai evoluto rispetto a una vita adulta, rappresento insomma quella debolezza che è un aspetto poco raccontato della mascolinità oggi”.
Isabella Briganti, che interpreta Agnese, racconta che il suo personaggio “è quello che paga il prezzo più alto, una conduttrice tv che sta per accedere alla prima serata anche grazie a un amante potente. Quando ormai arriva la conferma del programma, ha un incidente e le viene amputata una gamba, ma nel finale ha la sua resurrezione”.
Un’analisi critica del film
“Holy Shoes” si presenta come un’analisi critica e divertente della società contemporanea, focalizzandosi sul potere del consumismo e sul ruolo degli oggetti nel plasmare la nostra identità. Il film utilizza l’ossessione per le scarpe come metafora per esplorare i desideri, le frustrazioni e le ambizioni dei suoi personaggi, offrendo una prospettiva ironica e amara sulla nostra dipendenza dai beni materiali.