Le accuse di Vanity Fair
Robert F. Kennedy Jr., candidato indipendente alla presidenza degli Stati Uniti, ha respinto con forza le accuse di aggressione sessuale contenute in un articolo di Vanity Fair. Secondo la rivista, Kennedy avrebbe palpeggiato Eliza Coonet, una giovane babysitter e assistente, alla fine degli anni ’90, quando lui aveva 23 anni.
L’articolo sostiene che Coonet, neolaureata all’epoca, fu assunta per prendersi cura dei figli di Kennedy e per assisterlo in alcune mansioni. La rivista cita fonti anonime che affermano di aver assistito all’aggressione, ma non fornisce dettagli specifici sull’accaduto.
La risposta di Kennedy
Kennedy ha definito l’articolo di Vanity Fair “spazzatura” e ha negato categoricamente le accuse di violenza. Ha ammesso di “non essere un santo” e di aver avuto “una giovinezza molto turbolenta”, ma ha ribadito di non aver mai commesso l’aggressione descritta dalla rivista.
Oltre all’accusa di aggressione sessuale, l’articolo di Vanity Fair menziona anche le presunte numerose relazioni extraconiugali di Kennedy e la sua strenua difesa del cugino Michael Skakel, condannato per l’omicidio di una ragazza di 15 anni a Greenwich, in Connecticut.
Ulteriori accuse e smentite
Kennedy ha accusato Vanity Fair di essere in combutta con il partito democratico e ha contestato un’altra accusa contenuta nell’articolo, ovvero quella di essersi fotografato in Corea del Sud con un cane arrosto, deridendo poi la cultura del Paese con un amico.
Secondo Kennedy, la foto sarebbe stata scattata in Sud America e l’animale non era un cane, ma una capra. Non è chiaro se la rivista abbia fornito prove a sostegno della sua affermazione riguardo alla foto e al luogo in cui è stata scattata.
Un’accusa pesante e una smentita decisa
Le accuse di aggressione sessuale sono estremamente gravi e richiedono un’attenta analisi. Sebbene Kennedy abbia negato le accuse, è importante ricordare che le parole di una vittima dovrebbero essere prese seriamente. Allo stesso tempo, è fondamentale rispettare il principio di presunzione di innocenza fino a quando non verrà stabilita la verità attraverso un processo equo.