Algeri, città ferita: un ritratto vivido
“Cosa sognano i lupi?”, pubblicato per la prima volta nel 2001 e ora riproposto da Sellerio nella collana “La memoria”, ci porta in un’Algeri in preda al caos. Khadra, con una prosa impetuosa e ricca di immagini evocative, dipinge una città ferita dalla violenza, che “vomitava”, “ruttava, grugniva, tutta imbrattata, ansante, con gli occhi stravolti, la bocca piena di bava”. Questo ritratto vivido ci immerge in un contesto sociale turbato, preludio alla storia che si dipana.
Nafa Walid: un giovane alla ricerca di fama e redenzione
Il protagonista, Nafa Walid, un ventenne della casbah, è ossessionato dalla celebrità. Sogna di diventare un divo del cinema e la sua stanza è tappezzata di poster di icone come James Dean, Alain Delon e Claudia Cardinale. Nato in una famiglia povera, con cinque sorelle e genitori che faticano a sbarcare il lunario, Nafa si sente intrappolato in un contesto sociale che gli appare opprimente.Cercando di sfuggire alla sua condizione, Nafa cerca un lavoro che gli permetta di emergere. Trova un impiego come autista presso una famiglia potente, ma questa esperienza si rivela deludente. La sua frustrazione cresce e lo porta a cercare una nuova strada, rifugiandosi nella fede. Ma il suo cammino lo conduce verso una perversione religiosa, un cammino che lo porterà a diventare un terrorista.
La genesi del terrore: un dramma sociale
Khadra, con la sua scrittura cruda e realistica, ci mostra come la radicalizzazione sia spesso il frutto di un contesto sociale opprimente. Nafa, deluso e frustrato, trova in una fede distorta una sorta di redenzione. Il romanzo svela il dramma sociale alla base della violenza, mostrando come la mancanza di opportunità, la povertà e il senso di marginalità possano alimentare l’odio e la violenza.”Cosa sognano i lupi?” ci offre un’analisi profonda e spietata della genesi del terrorismo. Khadra non si limita a descrivere gli atti di violenza, ma ne esplora le radici, mostrando come un’ideologia distorta possa manipolarla fede per giustificare l’orrore.