La promessa dell’immortalità digitale: un’altra faccia della medaglia
La tecnologia sta avanzando a passi da gigante e con essa si aprono nuove frontiere, alcune delle quali sorprendentemente affascinanti. Le app afterlife, applicazioni che sfruttano l’intelligenza artificiale per replicare la personalità di persone defunte, rappresentano un esempio di questo tipo di innovazione. Promettono di mantenere vivo il ricordo dei nostri cari in modo digitale, permettendoci di conversare con loro, leggere i loro messaggi e persino sentirli parlare.
Tra le app più note si trovano Project December e HereAfter, che per un abbonamento mensile permettono agli utenti di accedere a una versione digitale di un loro caro. Queste app si basano sull’analisi di testi, registrazioni audio e video per creare un modello digitale che replica le caratteristiche linguistiche e comunicative della persona scomparsa.
L’idea è affascinante, ma nasconde delle insidie. Lo studio condotto da Tomasz Hollanek e Katarzyna Nowaczyk-Basińska dell’Università di Cambridge, pubblicato sulla rivista Philosophy & Technology, ha analizzato i potenziali rischi e le implicazioni etiche di queste app, aprendo un dibattito fondamentale sull’utilizzo e la regolamentazione di tecnologie che promettono di sovvertire la nostra relazione con la morte.
I pericoli dell’aldilà digitale: manipolate, pubblicità e lutto non elaborato
Lo studio di Cambridge evidenzia tre possibili scenari futuri che potrebbero generare preoccupazioni. Il primo scenario riguarda la manipolazione psicologica degli utenti. Immaginate che una app afterlife, utilizzando la voce di un genitore defunto, vi suggerisca scelte e comportamenti in linea con i desideri della persona scomparsa. In questo caso, l’app potrebbe essere utilizzata per influenzare le decisioni di un individuo in modo subdolo e inconsapevole.
Il secondo scenario riguarda l’inserimento di pubblicità, sempre attraverso la voce del defunto. Una nonna che vi propone di acquistare un determinato prodotto, o un amico che vi invita a sottoscrivere un servizio, potrebbe essere un esempio di come questa tecnologia potrebbe essere sfruttata a scopo commerciale.
Il terzo scenario riguarda l’elaborazione del lutto. Interagire con un’app afterlife potrebbe, paradossalmente, ostacolare il processo di elaborazione del dolore per la perdita di un caro. La possibilità di “comunicare” con la persona scomparsa potrebbe creare un’illusione di presenza, impedendo la fase di accettazione e il distacco necessario per andare avanti.
Queste sono solo alcune delle problematiche sollevate dallo studio. I ricercatori sottolineano che l’impatto psicologico di queste app, soprattutto per persone fragili e vulnerabili, potrebbe essere devastante.
La necessità di una regolamentazione etica: un futuro da costruire con responsabilità
Lo studio di Cambridge conclude che la crescente diffusione delle app afterlife richiede un’attenta riflessione e un’azione urgente per mitigare i potenziali rischi. Occorre definire una normativa etica che tuteli gli utenti da possibili abusi e garantisca l’utilizzo responsabile di queste tecnologie. È fondamentale che si lavori per stabilire linee guida che definiscano i confini etici di queste applicazioni, che garantiscano la trasparenza nell’utilizzo dei dati personali e che tutelino gli utenti da potenziali manipolazioni o abusi.
La ricerca apre un dibattito complesso e urgente. L’immortalità digitale, un tempo confinata alla fantascienza, è ora realtà. Come società, dobbiamo interrogarci su come gestire questa nuova frontiera e assicurarci che l’innovazione tecnologica sia al servizio del bene comune, rispettando la dignità umana e la memoria dei defunti.